Corriere della Sera

Da Eliogabalo agli insetti Storia del cibo (e del potere)

L’intellettu­ale francese: «Non siamo altro che quello che mangiamo e percepiamo»

- Di Gian Antonio Stella

Un banchetto a base di lingue di fenicotter­i rosa! Solo a Eliogabalo, il dissoluto (dicono) imperatore ragazzino salito brevemente al potere nel II secolo d.c. sotto la guida della mamma e della nonna, poteva venire in mente un capriccio del genere. Non c’è chef al mondo, oggi, avesse pure dieci stelle Michelin, a potersi permettere un menu così. E meno male...

Lo racconta lo storico francese Jacques Attali, docente, economista, banchiere ma soprattutt­o curioso onnivoro e cronico, che dopo avere scritto libri sul cannibalis­mo, l’europa, Marx, gli ebrei, il Mahatma Gandhi, il debito pubblico e altro ancora, ha deciso di raccontare la storia del cibo (e del potere) dalle scimmie nomadi africane di dieci milioni di anni fa fino all’avvenirist­ico cibo in polvere «da agitare per 45 secondi in uno shaker» come quello provato dall’imprendito­re Yassine Chabli, che aveva deciso di mangiare solo quello «con l’idea di impiegare non più di tre minuti a pasto. In questo modo, dal suo punto di vista, avrebbe ridotto il tempo dedicato al cibo a due ore e mezza al mese guadagnand­o circa 30 ore per svolgere altre attività. Ha rinunciato dopo 48 ore per noia».

Si intitola «Cibo. Una storia globale dalle origini al futuro», è edito da Ponte alle Grazie e parte da un principio: «Noi non siamo altro che il prodotto di ciò che mangiamo, beviamo, sentiamo, vediamo, leggiamo, tocchiamo, annusiamo, percepiamo. Forse, anzi, non siamo altro che il modo in cui immaginiam­o di essere mangiati». La civiltà stessa si è sviluppata intorno a certe scelte: «Cibo, linguaggio e scrittura evolvono all’unisono. Intorno al 6000 a.c., per sfruttare al meglio le inondazion­i e produrre di più, gli agricoltor­i mesopotami­ci costruisco­no dighe e canali di irrigazion­e. Per raggiunger­e meglio il risultato devono formare gruppi più ampi, che presto diventeran­no degli imperi e la cui nascita è quindi innanzitut­to, e soprattutt­o, dettata da necessità alimentari. In questo modo possono sviluppare produzioni agricole in grado di sfamare gruppi umani molto più numerosi: orzo, vari tipi di farro e miglio. Possono anche gestire le eccedenze, concentrar­e la ricchezza, finanziare e nutrire gli eserciti».

E quanto potessero mangiare, quelle corti reali e quegli eserciti, lo ricorda la festa per il fine lavori di costruzion­e (ancora oggi non c’è idraulico o muratore che non s’aspetti una cena finale) del palazzo del re assiro Assurnasir­pal II all’inizio del IX secolo a.c.: dieci giorni di baldoria «per 69.574 persone, in cui si mangiarono 14.000 pecore, 1.000 buoi, 1.000 agnelli, 20.000 piccioni, 10.000 uova e 10.000 gerboa». Cioè quei topi considerat­i un tempo, pare, una leccornia.

Niente da stupirsi. Dall’altra parte del mondo, nel celeste impero cinese dove nel 1761 furono allestiti per il cinquantes­imo compleanno dell’imperatore Qianlong la bellezza di 800 tavoli, erano abituati a banchetti come quello del 1720 per celebrare l’unione tra i popoli Manchu e Han, festeggiat­o con centinaia di piatti diversi e rari come il naso di elefante, la carne di foca e di pavone e addirittur­a le labbra di orangutan.

Ed è questa l’arte di Jacques

Attali: saper passare dalla storia del fuoco che «sembra sia stato domato per la prima volta in Cina intorno al 550.000 a.c.» e fu «uno sconvolgim­ento di enorme portata» perché il cibo diventò «più facilmente assimilabi­le, aumentando ulteriorme­nte la quantità di energia a disposizio­ne del cervello e rendendo commestibi­li piante altrimenti tossiche» al vegetarian­ismo di Pitagora al quale Ovidio attribuisc­e un’invettiva: «Smettetela, uomini, di profanare i vostri corpi con cibi empi! (...) Che enorme delitto è ingurgitar­e viscere altrui nelle proprie...». E giù giù fino alle osservazio­ni sulla dimensione di mondi sconosciut­i: «Quasi due miliardi e mezzo di persone (soprattutt­o in Asia, Africa e America Latina) si nutrono attualment­e delle 2.000 specie di insetti commestibi­li».

Ed eccolo passare dai dettagli più inattesi («La nipote dell’imperatore di Bisanzio Maria Argyropoul­ina usa per la prima volta una forchetta nel 1004, durante le sue nozze con il figlio del doge di Venezia. Alcuni sacerdoti cattolici, indignati da questo spettacolo, le dicono che “Dio ha dato all’uomo le mani come forchette naturali”») alle denunce più indignate: «Nel 2017 nel mondo morivano ancora ogni anno di malnutrizi­one 9,1 milioni di persone, di cui 3,1 milioni di bambini sotto i cinque anni. La fame è causa di un terzo delle morti infantili e affligge 815 milioni di persone...». Per poi spostarsi a consideraz­ioni sconsolant­i per chi come lui confida di amare «le cene interminab­ili con gli amici, in cui si pontifica, si ride, si litiga e ci si riconcilia»: «Per prima scomparirà la colazione: ognuno aprirà il frigorifer­o quando vuole. Poi sparirà il pranzo, anche al lavoro; le mense aziendali non saranno più necessarie e verranno sostituite da spuntini alla scrivania. E la sera non si mangerà più con il resto della

I racconti Il vegetarian­ismo di Pitagora e i banchetti in totale e superba solitudine di Luigi XIV

famiglia, che peraltro si sarà totalmente sfaldata. Si vive soli e si mangia soli». Solitudine imposta. Non cercata.

Diversa dalla più totale e superba solitudine di Luigi XIV il quale, ricostruis­ce lo storico, promuove sì «una quantità di eccellenze culinarie che supera di gran lunga gli imperativi religiosi e le abitudini dei re precedenti» ma «non concepisce il suo pasto come un luogo di conversazi­one con i sudditi, ma come lo spettacolo della loro sottomissi­one».

Uno show prepotente dove, a Versailles, «lui prende il posto di Cristo», fa sfilare «davanti ai cortigiani una nave d’argento che contiene le (sue) salviette» e domina gli astanti: «I delfini hanno le sedie; i nipoti hanno “diritto allo sgabello” (solo per i duchi)» e «fino a 300 persone assistono al pasto in silenzio. In piedi. I nobili si trovano come in purgatorio: espiano le colpe attraverso l’umiliazion­e». L’incarnazio­ne stessa del potere: il monarca può dare, il monarca può togliere. Il cibo. La vita.

 ??  ?? La tela «Le rose di Eliogabalo»: il dipinto ispirato all’imperatore romano (218-222) è stato realizzato nel 1888 dal pittore anglo-olandese Lawrence Alma-tadema
La tela «Le rose di Eliogabalo»: il dipinto ispirato all’imperatore romano (218-222) è stato realizzato nel 1888 dal pittore anglo-olandese Lawrence Alma-tadema

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