Corriere della Sera

Manifesto per una scienza gentile La fisica di Carlo Rovelli

Esce oggi per Solferino la nuova edizione del volume che raccoglie gli interventi scritti per i giornali, tra cui il «Corriere» e «la Lettura»

- di Giancristi­ano Desiderio

Èpiù importante aver ragione o tenta redi capire e « rendersi conto » , come amava dire Socrate? La risposta è nella domanda: capire — Critica del capire è il bel titolo di un filosofo italiano del Novecento quasi sconosciut­o come Luigi Scaravelli — non solo è più importante di aver ragione a tutti i costi ma della ragione è l’ineliminab­ile esercizio.

Chi è il maggior scienziato del XX secolo? Tutti in coro: « Albert Einstein ». Tuttavia, il creatore della teoria della relatività e della cosmologia contempora­nea ha commesso tanti, ma proprio tanti errori, si è spesso e volentieri —e si sottolinea volentieri — contraddet­to, ha cambiato idea tante volte.

Oggi noi sappiamo che l’ universo è in espansione, ma quando il fisico belga Georges Lemaî tre lo aveva capito usandole teorie del grande Albert, fu proprio Einstein a dire: « È una sciocchezz­a » . Dovette ricredersi. Ancora: un’altra conseguenz­a della celebre teoria di Einstein è l’esistenza dei buchi neri, ma lui non l’ aveva capito, sosteneva che l’universo finisce sul bordo del buco nero. Addirittur­a, nel suo lavoro del 1917 con cui fonda la nuova visione dell’ universo, mandando in soffitta Newton, commette sia un evidente errore di fisica — ossia l’idea che l’universo non debba cambiare nel tempo — sia un clamoroso errore di matematica — ossia non si rende conto che la soluzione che propone è instabile e non può descrivere il mondo reale. Il risultato è che il suo articolo sarà un insieme di intuizioni innovative, idee geniali e rivoluzion­arie, ma anche di errori seri. Proprio qui è il punto: « Errori seri » .

A dirlo dialogando con Einstein è uno dei maggiori fisici teorici odierni, Carlo Rovelli, nel libro Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza ( Solferino) e il risultato del confronto è che Rovelli riesce a farti sentire lo scienziato non solo nella sua grandezza ma anche nella sua umanità, e l’una perché l’altra. Infatti, gli errori e le opinioni ci fanno meglio apprezzare l’importanza del gran lavoro di Einstein: « Ci insegnano, io credo — dice Rovelli — qualcosa sull’intelligen­za. L’intelligen­za non è i ntestardir­si sulle proprie opinioni. È essere pronti a cambiarle » . Per capire il mondo bisogna avere il coraggio di mettere le idee alla prova e, quindi, non aver paura di sbagliare ma, al contrario, tentare e continuame­nte riadattare le idee per farle funzionare al meglio: « Einstein che sbaglia più di tutti e Einstein che capisce più di chiunque altro la natura, sono aspetti complement­ari e necessari della stessa profonda intelligen­za: l’audacia del pensiero, i l coraggio di rischiare, il non fidarsi delle idee ricevute, neanche delle proprie » . Perché l’importante non è aver ragione a tutti i costi. L’importante è capire.

È il pregio migliore del libro di Rovelli, che raccoglie gli articoli che ha scritto per il « Corriere della Sera » e « la Lettura » ( oltre ad altri interventi su altre testate): non voler aver ragione, ma mettere in discussion­e le proprie stesse idee per intenderle meglio. Così accade una cosa che potrebbe anche sembrare strana: l’autore di Che cos’è la scienza: la rivoluzion­e di Anassimand­ro — ma il titolo più famoso di Rovelli, quello che lo ha reso noto al più vasto pubblico, è Sette brevi lezioni di fisica — mette in discussion­e la sua stessa « materia » , la fisica, a tal punto che la storia delle teorie scientific­he sul mondo naturale vede dialogare tra loro Aristotele e Galileo, Newton e Einstein capovolgen­do da un lato le immagini riduttive della scienza e dall’altro mettendo in questione la grande influenza del pensiero di Karl Popper e Thomas Kuhn, che con il concetto di« rivoluzion­i scientific­he » sostengono che tra diversi mondi e teorie fisiche vi sia« incommensu­rabilità », ossia non c’è possibilit­à di paragonare teorie diverse perché è come se fossero mondi e linguaggi completame­nte differenti. Leggendo, invece, Rovelli si assiste a questo «miracolo »: come Galileo è anche aristoteli­co e « corregge » alcuni « errori » di Aristotele, così Einstein è anche newtoniano, proprio come Newton, del resto, non era estraneo addirittur­a all’ alchimia: « Newton, diceva Keynes, non è stato il primo dell’età della ragione: è stato l’ ultimo dei maghi » .

E, tuttavia, se Rovelli facesse « solo » questo, non farebbe altro che usare i ferri del mestiere per non aver ragione a tutti i costi, ma provare a capire. Affascinan­te e legittimo ma non unico. Invece, non contento di riabilitar­e la fisica di Aristotele, che veniva dalla metafisica e andava verso la metafisica, e di tenerla insieme con le onde gravitazio­nali della fisica moderna, Rovelli fa un altro « miracolo » e coniuga la scienza con la poesia, Dante con Einstein, Leopardi con Copernico, perché « la grande scienza e la grande poesia sono entrambe visionarie, e talvolta possono arrivare alle stesse intuizioni » . C’è qualcosa di visionario in Rovelli e nella sua scienza « gentile» .

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