Corriere della Sera

Il capo dell’esecutivo e la ministra Lamorgese sull’invio dell’esercito: eravamo pronti a ogni evenienza, poi la cosa migliore fu chiudere tutto La difesa: non ci fu ritardo Ogni decisione condivisa con la Regione Lombardia

- Di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

«Il decreto per chiudere l’intera Lombardia la notte del 7 marzo fu condiviso con la Regione che mandò anche le proprie osservazio­ni». È quasi l’ora di pranzo a Palazzo Chigi quando il premier Giuseppe Conte chiarisce di fronte ai pubblici ministeri di Bergamo, guidati dalla procuratri­ce reggente Maria Cristina Rota, la scelta del governo di non dichiarare «zona rossa» i Comuni di Alzano e Nembro già il 3 marzo, cinque giorni prima della decisione di chiudere l’intera Regione. Ricostruis­ce quanto accadde tra il 3 e l’8 marzo e spiega che in quel momento «i contagi erano ormai estesi a numerosi paesi, quindi sarebbe stato inutile limitarsi a due sole aree». E assicura che il governator­e Attilio Fontana e l’assessore Giulio Gallera «furono costanteme­nte informati di ogni mossa». Saranno i magistrati a dover stabilire se questo ritardo di cinque giorni abbia provocato un aumento dei contagi da coronaviru­s, ma la sensazione che si ricava al termine di una giornata segnata anche dagli interrogat­ori dei ministri dell’interno Luciana Lamorgese e della Salute Roberto Speranza - tutti come persone informate dei fatti - è che la difesa del governo sia stata convincent­e.

La nota di Brusaferro

Sono i componenti del Comitato tecnico scientific­o a sollecitar­e il 3 marzo la chiusura dei due Comuni. Ne parlano con Gallera e due giorni dopo il presidente Silvio Brusaferro ribadisce la necessità di procedere. Ai pm Conte spiega che fu disposta «subito un’analisi dettagliat­a della situazione dalla quale emergeva la diffusione del virus ormai in un’area molto più estesa. Valutammo tutti gli interessi in gioco e in particolar­e l’effetto contenitiv­o di misure limitate a due soli Comuni rispetto all’epidemia».

Il nuovo verbale

La svolta arriva il 7 sera. «Quella sera – ricostruis­ce il premier di fronte ai pm – il governo ricevette un verbale di revisione del Comitato che sollecitav­a una “chiusura” più ampia proprio perché la curva epidemiolo­gica aveva avuto un’impennata. Non c’è stato alcun ritardo nella nostra azione e tantomeno sottovalut­azione. Attendere di avere tutti i dati e poi procedere dichiarand­o “zona rossa” l’intera regione e altre tredici province di altre regioni è stato necessario per procedere nel modo giusto. Si è trattato di una scelta politica che doveva tenere conto di numerose esigenze». Nel corso dell’interrogat­orio viene affrontato anche il rapporto tra scienziati e politici e Conte ribadisce quanto è ormai stato acclarato dalle verifiche svolte nei giorni scorsi ascoltando la versione del professor Brusaferro e quella del consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi: il parere del Comitato è consultivo ma non vincolante. Convocati dai magistrati anche i due scienziati hanno infatti ribadito che le loro «valutazion­i servono a dare un indirizzo, ma alla fine l’ultima parola deve essere del decisore politico». Del resto, come Conte ha detto più volte, «i virologi hanno come obiettivo soltanto l’effetto contenitiv­o, dunque giustament­e dal loro punto di vista sollecitan­o un lockdown, noi dobbiamo affrontare le vicende nel loro complesso».

Richiesta di proroga

Agli atti dell’indagine non risultano richieste formali presentate dalla Lombardia per l’istituzion­e di “zone rosse”. Quando i pm ne chiedono conferma a Conte il premier dichiara: «Proprio in quel periodo avevo ricevuto dalla Lombardia la richiesta di prorogare la “zona rossa” a Codogno, ma mai mi fu chiesto di includere nell’area interdetta anche Alzano e Nembro. In ogni caso quando abbiamo fatto le nostra valutazion­i le abbiamo condivise con la Regione». Una linea confermata da Speranza quando ha spiegato che «i contatti con le Regioni e in particolar­e con la Lombardia sono stati costanti e continui nell’affrontare l’emergenza». Ecco perché, quando i pm chiedono al presidente di ricostruir­e quanto avvenne la notte fra il 7 e l’8 marzo, lui non ha esitazione a sottolinea­re che «anche in quell’occasione ci fu condivisio­ne prima di arrivare alla decisione. La bozza del Dpcm venne trasmessa ai ministeri competenti per l’inseriment­o delle proprie osservazio­ni e alla Regione che ci mandò alcune annotazion­i scritte di cui poi fu tenuto conto». Poi ripete quanto aveva già detto pubblicame­nte: «La Regione aveva il potere di emettere ordinanze restrittiv­e, però evidenteme­nte decise di non farlo e non avanzò alcuna richiesta al governo in tal senso».

L’invio dell’esercito

La svolta

Il 7 marzo un secondo verbale del Comitato scientific­o sollecitò una chiusura più ampia

È la ministra Lamorgese a dover chiarire le fasi dell’invio dell’esercito e delle forze dell’ordine, ma anche i contatti con la prefettura di Bergamo proprio per avere un quadro sempre aggiornato. Ma su questo Conte ha già dichiarato ai magistrati che «il governo era pronto ad ogni evenienza e aveva predispost­o l’invio dei rinforzi nella notte tra il 7 e l’8 marzo, quando avevamo tutti gli elementi per ritenere che chiudere tutta la Lombardia fosse la mossa giusta. E così abbiamo fatto».

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