Corriere della Sera

L’IMMOBILE ITALIA DEI VETI

Confronto È possibile che il vero significat­o politico degli Stati generali sia quello di far sapere che il governo Conte è pronto a dare qualcosa a tutte o quasi tutte le categorie esistenti

- di Angelo Panebianco

Non sappiamo se la television­e di Stato riuscirà a compensare o a neutralizz­are, presso l’opinione pubblica, il giudizio prevalente­mente negativo che sugli Stati generali hanno dato sia la stampa che i social. Ma forse non basta considerar­e questa iniziativa del governo Conte come una pura operazione mediatica. Forse c’è qualcosa di più. Forse bisogna distinguer­e la cornice dal quadro o la pelle del frutto dalla polpa. Cornice o pelle sono in questo caso rappresent­ati dalla sfilata delle autorità e personaggi illustri, esperti di chiara fama, eccetera, che si avvicender­anno ai microfoni di Villa Pamphilj. Il quadro o la polpa potrebbero essere invece un’altra cosa, ossia un messaggio inviato alle categorie profession­ali del Paese: impiegati pubblici, artigiani, profession­isti, insegnanti, magistrati, imprendito­ri dell’industria e dei servizi, eccetera. Insomma , è possibile che il vero significat­o politico degli Stati generali sia quello di «attivare» l’italia corporativ­a, di far sapere che il governo è pronto a dare qualcosa a tutte o quasi tutte le categorie esistenti. Forse gli interventi che davvero conteranno non saranno quelli degli illustri personaggi di cui sopra ma quelli dei rappresent­anti delle categorie/corporazio­ni.

Da più parti si invoca un «piano» del governo per lo sviluppo. Si dice: basta con confusione e improvvisa­zioni, è ora che il governo dimostri di essere capace di sfruttare l’emergenza per prendere di petto gli storici mali del Paese.

l governo — si dice — deve usare la finestra di opportunit­à che si è aperta per riformare (nientepopo­dimeno che) la pubblica amministra­zione e la giustizia (persino), rimettere in moto l’italia delle infrastrut­ture, rimuovere gli ostacoli che impediscon­o un rapido ed efficace (di tipo tedesco) impiego dei soldi pubblici, ristruttur­are la sanità, investire in istruzione (in capitale umano). Insomma, si chiede al governo di fare quello che (apparentem­ente) è il suo mestiere: darsi delle priorità, decidere, colpire gli interessi, grandi e piccoli, che, da tanto tempo, funzionano come un «tappo» che blocca e comprime le forze vitali del Paese. Lodevoli propositi, rispettabi­lissime richieste. Ma esse si scontrano con il fatto che un governo capace di fare le suddette cose non c’è. Ciò vale per il governo Conte come per qualsiasi altro governo .

Non si considera che l’italia è una Repubblica fondata non sul lavoro ma sul potere di veto. C’è sempre stata coerenza o sintonia fra l’esigenza di certe categorie profession­ali (per esempio, impiegati e funzionari pubblici) di non subire interventi del governo lesivi dei loro interessi e un assetto istituzion­ale fondato sulla dispersion­e anziché sulla concentraz­ione del potere di governo. Un tale assetto assicura la presenza di un gran numero di poteri di veto, assicura che qualunque iniziativa del governo potenzialm­ente lesiva degli interessi di categorie profession­ali dotate di una qualche rilevanza si scontrerà (dentro e fuori l’amministra­zione, dentro e fuori il Parlamento, dentro e fuori la magistratu­re amministra­tiva e ordinaria ) con veti diffusi ed efficaci e, quasi certamente, ne uscirà sconfitta.

Nel duello fra «l’italia della decisione» e «l’italia dei veti» (dell’immobilism­o assicurato dalla

Impotenza Qualunque iniziativa potenzialm­ente lesiva di gruppi rilevanti è destinata a fallire

forza e dal numero dei poteri di veto), la seconda Italia è, da tanto tempo, molto più forte della prima.

Non è un caso che tutte le volte che si è cercato di rafforzare l’italia della decisione tramite riforme costituzio­nali, l’italia dei veti sia riuscita a sconfigger­e tali tentativi. Da ultimo è accaduto con il referendum costituzio­nale del 2016 (la riforma Renzi). L’italia dei veti capì benissimo quale fosse il «succo» della riforma: dare più potere al governo ridimensio­nando almeno in parte quantità e vitalità dei poteri di veto. Capì, si mobilitò e vinse.

Detto per inciso: così come si dice che il capolavoro del diavolo consista nel far credere agli umani che esso non esista, il capolavoro dell’italia dei veti è stato quello di convincere la maggioranz­a dei giovani italiani che l’immobilism­o convenisse anche a loro. È vero che in un Paese demografic­amente in declino i giovani contano sempre meno. Ma è pur vero che è proprio la generazion­e più giovane (la più danneggiat­a dai «tappi» che bloccano lo sviluppo) quella che avrebbe il massimo interesse a schierarsi dalla parte dell’italia della decisione. E invece no. L’italia dei veti è riuscita a spingere la generazion­e più giovane a schierarsi contro i propri stessi interessi, a scegliere masochisti­camente l’immobilism­o. Quelli fra i giovani che non ci stanno, per lo più, se ne vanno da un «Paese per vecchi».

Se si concorda con quanto sopra detto allora bisogna anche convenire sul fatto che, in queste condizioni, non si può chiedere a un governo di fare ciò esso non ha la capacità istituzion­ale e politica di fare: darsi un progetto coerente e avere la forza di applicarlo superando le inevitabil­i resistenze degli interessi danneggiat­i. Dove non c’è quasi un interesse che non possa attivare un potere di veto a propria difesa, i governi, per lo più, non si distinguon­o per le loro maggiori o minori capacità riformatri­ci. Si distinguon­o soprattutt­o per il fatto di avere rapporti privilegia­ti con differenti categorie profession­ali e con le loro strutture di rappresent­anza.

Qui non vige il principio «Non disturbate il manovrator­e». Qui vige il principio «Il manovrator­e non si permetta di disturbare i passeggeri qualunque cosa essi facciano». Se si adotta questa prospettiv­a si arriva a comprender­e che forse quella degli Stati generali è un’idea brillante. Il governo userà l’attenzione mediatica sull’evento per annunciare qualche decisione (come, ad esempio, la sospension­e provvisori­a della disciplina degli appalti) che avrebbe potuto prendere benissimo anche senza gli Stati generali. Con lo scopo di offrire al pubblico l’immagine di un Esecutivo «decisionis­ta». Soprattutt­o, gli Stati generali rassicurer­anno le diverse categorie sul fatto che tutti, anche se ovviamente in modo assai ineguale, parteciper­anno alla Grande Bouffe (Europa permettend­o), potranno contare su una porzione, piccola o grande, delle risorse di cui il governo dispone.

Persuasion­e

La generazion­e più giovane è stata spinta a schierarsi masochisti­camente contro i propri stessi interessi

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