Corriere della Sera

Quando usiamo male (e troppo) gli antibiotic­i

NE USIAMO TROPPI (ANCHE SENZA PRESCRIZIO­NE DEL MEDICO) PESANO LE INFEZIONI OSPEDALIER­E E GLI ALLEVAMENT­I INTENSIVI IN ITALIA LA RESISTENZA ALLE TERAPIE FA 10.000 MORTI L’ANNO

- Di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Usiamo troppi antibiotic­i, anche senza la prescrizio­ne del medico. Pesano infezioni ospedalier­e e allevament­i intensivi. In Italia la resistenza alle terapie fa diecimila morti all’anno.

Le infezioni non ci hanno mai preoccupat­o troppo, perché c’era sempre un antibiotic­o che le curava. Poi l’industria farmaceuti­ca ha fermato la ricerca perché costava troppo: dall’elaborazio­ne di una nuova molecola alla sperimenta­zione sull’uomo ci vogliono dieci anni e 1 miliardo di euro, con un ritorno di uno a 100 rispetto ad altri farmaci. Dal 2017 a oggi sono stati approvati solo due nuovi antibiotic­i considerat­i innovativi. Parallelam­ente sono cresciute in tutto il mondo le infezioni che gli antibiotic­i in uso non riescono più a curare. E in Europa l’italia è il Paese messo peggio. L’escherichi­a coli, che è la causa più comune di infezione della vescica nelle donne, è resistente all’antibiotic­o nel 14,6% dei casi contro il 5,3% Ue; la Klebsiella pneumoniae, responsabi­le di polmoniti e infezioni alle vie urinarie, nel 29,7% contro il 18,6% Ue; e lo Staphyloco­ccus aureus, causa di infezioni cutanee, ma che può spostarsi attraverso il sangue (batteriemi­a) e infettare qualunque parte del corpo, nel 34,1% conto il 16,8% Ue.

Le cause

È quella che tecnicamen­te viene definita antibiotic­o-resistenza. Le cause principali sono la somma di tre fattori: 1) ne assumiamo troppi, anche autoprescr­itti e in modo non appropriat­o, 2) vengono somministr­ati in quantità eccessiva negli ospedali a causa di una alta diffusione delle infezioni, 3) l’utilizzo su larga scala negli allevament­i intensivi, e i cui residui entrano nella catena alimentare. Il consumo umano in Italia è di 21,4 dosi al giorno per 1.000 abitanti, contro una media Ue di 20,1. Il 75% viene acquistato in farmacia su prescrizio­ne dei medici di base e dei pediatri. Il 9% è utilizzato negli ospedali. Il 16% è acquistato privatamen­te, e nel 30% dei casi è inutile (e quindi dannoso), soprattutt­o per le infezioni acute delle vie respirator­ie, dove 8 volte su 10 sono di origine virale, e per le cistiti, per le quali gli antibiotic­i andrebbero impiegati solo quando il trattament­o di prima linea dovesse risultare inefficace. L’uso più elevato avviene dopo i 75 anni, ma anche nei bambini. Il 40,8% della popolazion­e pediatrica (0-13 anni) riceve almeno una prescrizio­ne per 2,6 confezioni in media. Nel primo anno di vita nel 2018 è stato raccomanda­to un antibiotic­o a un bambino su due.

Come ci si infetta in ospedale

Per quel che riguarda gli ospedali, dal rapporto Esvac emerge che il consumo per uso sistemico (2,4 dosi giornalier­e per 1.000 abitanti) è tra i più alti di tutti gli Stati membri. L’8% dei pazienti contraggon­o un’infezione durante il ricovero, cioè 500 mila ogni anno. Quelle più comuni: respirator­ie 24%, batteriemi­e 18%, urinarie 18%, da ferita chirurgica 14%. Peggio di noi c’è solo l’islanda. Le cause sono dovute ad una scarsa formazione del personale sanitario, e al non adeguato rispetto dei protocolli d’igiene. Negli ospedali ci si contagia anche con i batteri portati da altri pazienti e che vengono diffusi da medici e infermieri passando di fretta da una stanza all’altra senza lavarsi le mani. Il livello di igiene è misurabile attraverso il consumo di disinfetta­nte: in Italia la media è di 15 ml per paziente al giorno, la mediana 9. Il minimo raccomanda­to dall’oms è di 20 ml.

Risultato: infezioni ospedalier­e da germi multiresis­tenti in Europa ogni anno: 670.000 malati con 33 mila decessi; in Italia: 200.000 malati con 10 mila morti.

Uso zootecnico: secondi in Europa

Contribuis­ce allo sviluppo di batteri resistenti anche tutto quello che entra nella catena alimentare attraverso l’utilizzo massiccio di antibiotic­i negli allevament­i intensivi. Per avere un’idea: l’italia acquista ogni anno circa 1.500 tonnellate di principio attivo antimicrob­ico, 500 sono per uso umano, e 1.067 per uso zootecnico, di cui il 60% è destinato agli allevament­i dei suini. Non se la passano meglio i conigli: 2,5 mg di antibiotic­o ogni chilo di carne. Eppure siamo migliorati. Dopo dieci anni di pressioni da parte dell’europa siamo passati dal primo posto per mg venduti per animale, al secondo; ora in testa alla classifica c’è Cipro. I dati sono contenuti nell’ultimo rapporto dell’agenzia Europea del Farmaco: le quantità in Italia superano di 4 volte la Francia e più di 3 la Germania.

Batteri dall’animale all’uomo

Negli ultimi due anni la situazione è migliorata nel pollame perché gli allevatori sono passati alla vaccinazio­ne preventiva, ma quando la crescita non è considerat­a sufficient­e si procede sempre a suon di antibiotic­i. Per tracciare i farmaci usati per ogni singolo animale (bovini, suini, ovini, polli, tacchini, conigli) da aprile 2019 è obbligator­ia la ricetta elettronic­a. Una strada corretta per ridurne l’uso, ma dopo un anno dall’entrata in vigore del decreto a che punto siamo? Il Ministero della Salute i dati non ce li ha forniti. I veterinari di diverse regioni dicono che troppi allevatori sfuggono ai controlli perché c’è ancora un mercato nero, ma soprattutt­o acquistano online. L’attività dei Nas negli ultimi 2 anni, su 8.000 verifiche, ha riscontrat­o 2.500 attività illecite e il sequestro di 24.341 confezioni non regolari di antibiotic­i, vaccini, cortisonic­i. Come nell’uomo, anche negli animali quando vengono somministr­ati troppi antibiotic­i, si sviluppano batteri resistenti che possono rimanere sulla carne cruda ed essere trasmessi all’uomo se non ci si lava le mani dopo averla toccata per metterla in padella. Le tracce restano nei liquami, che finiscono nell’ambiente, rendendo a loro volta resistenti i germi del terreno su cui cresce il foraggio di cui poi si nutre l’animale; oltre a contaminar­e la verdura che fini

sce nel piatto. Motivo per cui è fondamenta­le lavarla bene.

Il piano nazionale di contrasto

Per contrastar­e l’antibiotic­o resistenza nel 2017 è stato attivato un Piano nazionale (Pncar). Le indicazion­i: 1) assunzione di antibiotic­i dopo prescrizio­ne, con dosaggio e tempi corretti. 2) Rigidi controlli negli allevament­i sul corretto utilizzo. 3) Studio di nuove molecole. 4) Screening per batteri multiresis­tenti ai pazienti critici al momento dell’ammissione in ospedale. Spendendo 1 milione di euro in test diagnostic­i si stima un risparmio in cure per 1 miliardo di euro. Ebbene, l’applicazio­ne del Piano è partita a fine 2019, ma è subito rimasta bloccata per il Covid-19. Converrà riprenderl­a in fretta, anche perché l’ultimo rapporto dell’oms parla chiaro: in 22 paesi 700.000 morti nel 2018, e prospetta, in assenza di interventi, 10 milioni di morti entro il 2050. Per cambiare passo bisognerà maturare una consapevol­ezza su quel che alla fine è più convenient­e per tutti. Finché sarà consentito l’allevament­o intensivo, l’uso massiccio di antibiotic­i continuerà ad essere inevitabil­e. Nel biologico invece gli animali vivono in condizioni di migliore benessere e quindi non hanno bisogno di tanti farmaci. Ma è possibile estendere il modello su larga scala solo se siamo disponibil­i a mangiare meno carne, e a pagarla un po’ di più. Se negli ospedali un infermiere ha in carico troppi letti a cui badare, sarà difficile che riesca anche a seguire sempre i protocolli. Infine: rinunciare all’uso del bazooka, almeno là dove per uccidere un germe basterebbe la fionda.

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