Nella nuova età dell’infosfera la politica è pronta a tornare
Il saggio edito da Cortina di Marcello Floridi, domani sul web per la Fondazione Corriere della Sera
Chi si sentisse orfano di un buon libro di filosofia politica, calato nella realtà senza offrire facili scorciatoie ma che cerchi di portarci in equilibrio sulla sottile corda di un «progetto umano», non dovrebbe perdersi il nuovo testo del filosofo Luciano Floridi, professore di Etica dell’informazione all’università di Oxford: Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica (Raffaello Cortina). Ovvero: cromoterapia per la politica nell’era delle società mature dell’informazione.
Avrebbe potuto chiamarsi «il giallo», il colore del deterioramento dei sogni sociali, quelli utopici del Novecento ma anche quello della Rete, così promettente nei suoi esordi. Un colore-metafora che viene proprio dal giornalismo di fine Ottocento quando lo scontro tra i quotidiani di Randolph Hearst (l’editore che ispirò a Orson Welles Quarto potere) e di Joseph Pulitzer piombò nella cronaca scandalistica e nel voyeurismo che poi avrebbe fatto da piattaforma meta-culturale dei tabloid del Novecento.
«All’inizio — scrive Floridi — il digitale era il blu. Il blu elettrico delle tecnologie che vanno alla velocità della luce. Ed era il blu azzurro delle sue potenzialità (…). Non è durato molto. Il digitale ha iniziato a ingiallire, in certi angoli, invecchiando malamente come una vecchia Polaroid. È diventato il giallo». Della pedofilia online e delle fake news. La stessa cosa si potrebbe dire del verde dell’ambiente, altra componente strutturale del progetto politico.
Ma finiscono qui le concessioni a una diffusa narrativa di colpevolizzazione della tecnologia. Sarebbe troppo facile prendersela «solo» con il digitale. Floridi pesca qui, come in tutto il libro, dal suo humus e ci ricorda gli idoli della caverna di Francis Bacon (Novum Organum, 1620): «La fame umana di pettegolezzi superficiali, di bugie piacevoli e di falsità rassicuranti è sempre stata pantagruelica. La differenza è che per la prima volta l’infosfera (copyright dello stesso Floridi, ndr) la soddisfa con scorte senza fondo di spazzatura semantica, trasformando le caverne di Bacone e Platone in stanze riverberanti, che chiamiamo bolle». Il problema siamo (anche) noi. Floridi rifugge da semplificazioni dicotomiche bene-male, digitale-analogico e, anzi, per certi versi le rifonde coerentemente con la sua più famosa cesura tra online e offline in Onlife.
Lo avevamo detto che il libro non offriva scorciatoie. Ed è proprio questa la parte viva del saggio, quella dedicata al «progetto umano», inteso come il genere di società che vorremmo, troppo spesso diluito negli slogan elettorali, anche quelli che hanno fatto la storia come lo Yes, we can di Obama.
Qui è necessario un appunto: l’italia è una società matura dell’informazione nonostante la nostra percezione di Paese con ritardi strutturali e culturali nell’adozione del digitale. L’autore, padre del concetto di «iperstoria», considera i Paesi occidentali nella loro parabola nell’uso delle informazioni. Non ce ne voglia l’autore se ci spingiamo a dire che chi avesse familiarità con il suo pensiero (iperstoria, onlifismo, decentralizzazione dell’umanità causata da Copernico, Darwin, Freud e Alan Turing) potrebbe saltare i primi capitoli dedicati al suo pensiero filosofico, necessario antefatto alla comprensione della sua idea politica.
La tesi è questa: nel Novecento i progetti sociali (aborto, ecologia) hanno riempito i vuoti del progetto politico, facendolo apparire meno fragile e difettoso di quanto fosse.
Oggi Floridi valuta ormai quasi completo questo distacco della retina politica dall’occhio sociale. Volendo trovare un esempio di questo estremo tentativo potremmo scovarlo nel monumentale discorso di 8 minuti fatto ai dimostranti inferociti della sua Atlanta dal rapper di colore Killer Mike giorni dopo l’uccisione di George Floyd: «Non voglio che sfoghiate la vostra rabbia distruggendo i negozi, ma andando a votare». Il progetto «fine del razzismo» non può procedere senza una leadership politica. In altre parole, il «non avere un progetto non significa farne a meno, ma solo averne uno cattivo».
L’unica distinzione possibile è tra un progetto per raggiungere un miglior grado di fiducia sociale (Rousseau) oppure per ridurne il grado di sfiducia (Hobbes e Kant). Resta la speranza dello yellow journalism: da quella stagione nacque il premio Pulitzer, sinonimo di giornalismo di qualità. Da questo giallo politico forse sorgerà un nuovo leader?
La tesi
Nel Novecento i progetti sociali hanno riempito i vuoti del progetto politico