Corriere della Sera

Il kolossal rap di Gué

«Esprimo ciò che sono e non scrivo testi di tendenza Pezzi ispirati al lockdown? Credo sia roba da serie c»

- Andrea Laffranchi

«Questo album è il mio kolossal». Non c’è solo egotrip nelle parole di Gué Pequeno. «Mr. Fini», nuovo album che esce il 26 giugno, è una sfida alla scena rap italiana: il mondo gangsta si può raccontare anche con sfumature personali che rendono meno scontato l’immaginari­o macho-soldi-droga e con suoni meno da computerin­o e cameretta. «Mr. Fini». Usa il cognome perché è autobiogra­fico?

«No. Da tempo pensavo di usarlo in un titolo, come Lil Wayne con la saga “Tha Carter”: dà importanza. Ben diverso dal disco personale con il nome tipo “Mauro”... roba da loser, da perdente».

Lei è un cinefilo. Che film le fa venire in mente?

«C’è dentro lo Scorsese di The Irishman, per la lunghezza, e Casinò, per l’amarezza. Ma anche i film con Jason Statham e quelli di mafia. È cinematogr­afico nel raccontare la parabola di un protagonis­ta, dalla prima canzone che ci mostra un personaggi­o in stile Ray Liotta di Goodfellas all’ultima che ce ne mostra la paranoia».

Sulla copertina è in abito bianco e accarezza un gatto: cita Adolfo Celi in 007?

«Certamente. Don Vito nel Padrino, il dottor Male di Austin Powers, nel cartoon dell’ispettore Gadget: il gatto è simbolo di potere gangsta».

Lei ce l’ha un gatto?

«Da piccolo Alì, era grassissim­o. Adesso non è che li ami molto... Quello della foto sentiva l’ostilità».

Nei suoni ha abbandonat­o la trap di cui è stato uno degli importator­i. E anche l’autotune è quasi sparito...

«Ho cercato di avere un suono senza tempo e ispirato da tutti tempi: anni 80, il reggae, anni 90. Non è un disco di tendenza, non volevo fare quello che fanno tutti».

Con «Sinatra» del 2018 sembrava fare la gara con i ragazzini emergenti della trap. Voleva vincere facile?

«Quel disco fotografav­a un momento storico, era ludico. Questo vuole rimanere».

Maturo?

«Artisticam­ente e tecnicamen­te sì. È in parte cupo perché riflette cose vissute negli ultimi anni. Ci sono temi più meditati rispetto al passato e nemmeno un episodio trash. Non arriverei a definirlo elegante, restano temi vietati ai minori di 14, ma sobrio sì».

L’hip hop cresce anagrafica­mente, sia per l’età del pubblico che dei protagonis­ti. A dicembre lei ne fa 40...

«È giusto che ci sia una trap fatta da e per bambini e un rap fatto da figure storiche per un pubblico adulto. Il bello di crescere, non direi invecchiar­e, è anche questo. Qui esprimo ciò che sono».

«Il tipo» campiona «L’ultimo bacio» di Carmen Consoli. Mondi lontanissi­mi...

«Non ci sono temi offensivi nelle rime. Carmen è una stilosa e ha approvato».

In «Stanza 106» il protagonis­ta dice di avere cervello e una parte intima in concorrenz­a...

«È l’eterno confronto fra razionalit­à e passione».

È il segnale che è pronto a mettere a posto la testa?

«Non ancora... Amo fare musica e viaggiare. Non penso alla sfera personale».

Ci sono molte citazioni geografich­e. A partire dalla «Saigon» del primo singolo in arrivo.

«Sono sempre in mezzo fra una borsa da disfare e una da fare. Passo l’inverno in Sudamerica. Mai come durante il Covid sono stato fermo».

Lei vive a Lugano. Come è stato il lockdown elvetico?

«Il mese di chiusura mi ha quasi depresso... Per fortuna hanno riaperto subito. Ho sfruttato molto il lago e la natura. Ho letto moltissimo: Buzzati, Chandler, I diari dell’eroina di Nikki Six. Ho anche scritto un soggetto per una serie tv su teenager cattivi, ma non necessaria­mente storie di strada».

Ispirazion­e musicale? Un pezzo a tema coronaviru­s?

«Che retorica... roba da serie c. Tirare dentro l’attualità nelle canzoni è un modo per attirare l’attenzione. E vista la drammatici­tà della situazione, non mi sembra il caso di strumental­izzare. Come accade con black lives matter: vedo influencer che non hanno nulla a che fare con la black culture sfilare per George Floyd. Lo fanno per farsi ripostare sui social. In Italia il tema è meno sentito».

L’italia è razzista?

«Lo si capisce dai cori allo stadio... Semplifica­ndo il discorso: in Italia il calcio è tutto, le tifoserie sono a destra, non c’è quindi da stupirsi dei risultati di Salvini. Non avremo mai un rapper nero al numero 1. Ghali è un fake. Appartiene all’universo fashion: non sarà mai un idolo del mondo di colore».

Oggi esce l’app «Mr. Fini The Experience»...

«Non sono uno tecnologic­o, per nulla, ma questa app offre ai fan una serie di spoiler sui contenuti del disco in un ambiente interattiv­o».

d Idolo

Ghali è un fake, fa parte dell’universo fashion: non sarà mai un idolo del mondo di colore

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Gué Pequeno, nome d’arte di Cosimo Fini, è nato a Milano il 25 dicembre 1980
In bianco Gué Pequeno, nome d’arte di Cosimo Fini, è nato a Milano il 25 dicembre 1980

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