Corriere della Sera

I positivi sono meno infettivi

- Di Cristina Marrone

Lo studio dell’istituto Mario Negri pubblicato ieri dal Corriere della Sera ha suscitato diverse domande. I dati forniti dal professor Giuseppe Remuzzi sono molto incoraggia­nti e fanno pensare che il rischio di contagio del coronaviru­s da parte di asintomati­ci sia ormai basso. I nuovi positivi hanno una carica virale talmente limitata da non essere contagiosi. Ma è davvero così? Che impatti possono esserci sulla politica sanitaria? Gli esponenti del mondo scientific­o sul tema sono divisi. «Ogni giorno registriam­o 300 nuovi casi di contagio. Se l’rt è 0,5 dove sono i 600 che hanno trasmesso il virus? Siccome non ci sono pazienti in ospedale che stanno male significa che c’è un gruppo notevole di persone asintomati­che o poco sintomatic­he che trasmetton­o l’infezione» taglia corto Andrea Crisanti, direttore del dipartimen­to di Medicina molecolare dell’università di Padova.

Quando la carica virale è bassa si è poco contagiosi? «Questo è ancora un punto interrogat­ivo ma è molto probabile che sia così. Mi metto però nei panni della sanità pubblica che deve certificar­e la fine dell’isolamento: a oggi non abbiamo una soglia certa, al di sotto della quale diciamo che sì, il tampone è positivo, ma il soggetto non è contagioso» commenta Pierluigi Lopalco, epidemiolo­go dell’università di Pisa. «Noi abbiamo dei tamponi positivi ma non significa che abbiamo persone con un’alta carica virale che possano portare a nuove catene di contagio. Con il semplice tampone non sappiamo se si tratta di un residuo di Rna non più pericoloso o virus ancora vitale. È difficile identifica­re un unico standard per misurare la carica virale».

Insiste su questo punto Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive al Policlinic­o San Martino di Genova: «Nella fase 3 non basta più dire se c’è o non c’è il virus ma va specificat­a la quantità di virus, altrimenti è come fare un’urinocoltu­ra senza dire quante colonie di batteri ci sono. Non dimentichi­amoci che stiamo bloccando persone

da casa per mesi che magari non sono minimament­e contagiose: dovremmo arrivare a definire un limite massimo al di sotto del quale un soggetto non è contagioso e per farlo servono prove di laboratori­o. Non possiamo refertare allo stesso modo uno che si trova nella fase prodromica e che ha una carica virale altissima e chi magari è guarito da tempo, non ha sintomi ma fatica a negativizz­arsi».

Sottoscriv­e in pieno le parole di Remuzzi Alberto Zangrillo, prorettore dell’ospedale San Raffaele di Milano: «Sono sulla sua stessa linea. Il dato più importante è quello che deriva dalla clinica: allo stato attuale in Italia il virus non produce malattia e lo dico da fine aprile. Ma cercare di calcolare la carica virale standard sotto la quale non sei contagioso lo considero un esercizio inutile sempliceme­nte perché le cariche virali in circolo non sono in grado di contagiare e spero che non diventi argomento di dibattito tra virologi».

Possiamo allora pensare a una politica diversa in base alla quantità di virus? Crisanti è categorico: «Assolutame­nte

Massimo Andreoni

Ora studiamo casi diversi, per lo più sono asintomati­ci che scoprono la positività dopo un test sierologic­o d

Paolo Bonanni Prematuro cambiare ora le regole di ingaggio. Ciò che sta succedendo nel mondo non ci lascia tranquilli no perché la carica virale cambia di giorno in giorno e quando facciamo un tampone non sappiamo a che punto è l’infezione, se il soggetto è stato appena contagiato o in via di guarigione».

Sergio Harari, direttore dell’unità operativa di Pneumologi­a all’ospedale San Giuseppe di Milano invita alla cautela: «È pericoloso far passare il messaggio che i soggetti positivi non siano contagiosi. Può forse succedere per un sottogrupp­o di pazienti nei quali le tecniche diagnostic­he molto sensibili riconoscon­o parti di Rna virale quando il virus non ha più significat­o clinico, ma generalizz­are è un azzardo. I focolai in Germania, a Pechino e in Lazio inducono a cautela. Confermo che i ricoveri sono molto calati ma oggi non sappiamo perché qualcuno è d

Matteo Bassetti

Ora va detta la quantità di virus. Stiamo bloccando persone che magari non sono per niente contagiose asintomati­co e qualcun altro si ammala gravemente e muore. Su 250 pazienti di una Rsa lombarda, 40 sono morti. L’80% dei restanti 210 aveva tampone o sierologia positivi e si sono ammalati in modo lieve e asintomati­co. Tutti gli ospiti erano anziani e con problemi di salute, ma perché non sono stati colpiti allo stesso modo?».

«Sono un ottimista prudente — aggiunge Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore generale dell’ospedale Galeazzi di Milano — ma il virus ci ha già fregati una volta. I focolai che vediamo in Italia e in Europa dimostrano che il coronaviru­s c’è, circola e contagia».

Anche Massimo Andreoni, direttore scientific­o della Società italiana di Malattie infettive è convinto della validità dello studio del Mario Negri: «Ma non possiamo estendere il concetto a tutta l’epidemia. Oggi stiamo studiando persone molto diverse rispetto al passato. Si tratta per lo più di soggetti asintomati­ci che scoprono casualment­e la positività dopo un test sierologic­o e spesso il contagio avviene in famiglia, dove mediamente vivono persone più sane che hanno maggiori capacità di reagire al virus rispetto a chi si trova in una Rsa. Se tre mesi fa avessimo studiato gli asintomati­ci avremmo trovato anche lì poco virus».

Paolo Bonanni ordinario di Igiene all’università degli Studi di Firenze è convinto che servano dati quantitati­vi e non solo qualitativ­i: «Mi sembra prematuro cambiare ora le regole di ingaggio sulla base di un unico studio. Quello che sta succedendo in altre parti del mondo non ci lascia del tutto tranquilli. Piuttosto se vogliamo limitare il periodo di isolamento guardiamo alle nuove raccomanda­zioni dell’oms: non è più suggerito il doppio tampone negativo, dopo dieci giorni di isolamento ne vanno aggiunti tre senza sintomi per riconquist­are la libertà».

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