I positivi sono meno infettivi
Lo studio dell’istituto Mario Negri pubblicato ieri dal Corriere della Sera ha suscitato diverse domande. I dati forniti dal professor Giuseppe Remuzzi sono molto incoraggianti e fanno pensare che il rischio di contagio del coronavirus da parte di asintomatici sia ormai basso. I nuovi positivi hanno una carica virale talmente limitata da non essere contagiosi. Ma è davvero così? Che impatti possono esserci sulla politica sanitaria? Gli esponenti del mondo scientifico sul tema sono divisi. «Ogni giorno registriamo 300 nuovi casi di contagio. Se l’rt è 0,5 dove sono i 600 che hanno trasmesso il virus? Siccome non ci sono pazienti in ospedale che stanno male significa che c’è un gruppo notevole di persone asintomatiche o poco sintomatiche che trasmettono l’infezione» taglia corto Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova.
Quando la carica virale è bassa si è poco contagiosi? «Questo è ancora un punto interrogativo ma è molto probabile che sia così. Mi metto però nei panni della sanità pubblica che deve certificare la fine dell’isolamento: a oggi non abbiamo una soglia certa, al di sotto della quale diciamo che sì, il tampone è positivo, ma il soggetto non è contagioso» commenta Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell’università di Pisa. «Noi abbiamo dei tamponi positivi ma non significa che abbiamo persone con un’alta carica virale che possano portare a nuove catene di contagio. Con il semplice tampone non sappiamo se si tratta di un residuo di Rna non più pericoloso o virus ancora vitale. È difficile identificare un unico standard per misurare la carica virale».
Insiste su questo punto Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova: «Nella fase 3 non basta più dire se c’è o non c’è il virus ma va specificata la quantità di virus, altrimenti è come fare un’urinocoltura senza dire quante colonie di batteri ci sono. Non dimentichiamoci che stiamo bloccando persone
da casa per mesi che magari non sono minimamente contagiose: dovremmo arrivare a definire un limite massimo al di sotto del quale un soggetto non è contagioso e per farlo servono prove di laboratorio. Non possiamo refertare allo stesso modo uno che si trova nella fase prodromica e che ha una carica virale altissima e chi magari è guarito da tempo, non ha sintomi ma fatica a negativizzarsi».
Sottoscrive in pieno le parole di Remuzzi Alberto Zangrillo, prorettore dell’ospedale San Raffaele di Milano: «Sono sulla sua stessa linea. Il dato più importante è quello che deriva dalla clinica: allo stato attuale in Italia il virus non produce malattia e lo dico da fine aprile. Ma cercare di calcolare la carica virale standard sotto la quale non sei contagioso lo considero un esercizio inutile semplicemente perché le cariche virali in circolo non sono in grado di contagiare e spero che non diventi argomento di dibattito tra virologi».
Possiamo allora pensare a una politica diversa in base alla quantità di virus? Crisanti è categorico: «Assolutamente
Massimo Andreoni
Ora studiamo casi diversi, per lo più sono asintomatici che scoprono la positività dopo un test sierologico d
Paolo Bonanni Prematuro cambiare ora le regole di ingaggio. Ciò che sta succedendo nel mondo non ci lascia tranquilli no perché la carica virale cambia di giorno in giorno e quando facciamo un tampone non sappiamo a che punto è l’infezione, se il soggetto è stato appena contagiato o in via di guarigione».
Sergio Harari, direttore dell’unità operativa di Pneumologia all’ospedale San Giuseppe di Milano invita alla cautela: «È pericoloso far passare il messaggio che i soggetti positivi non siano contagiosi. Può forse succedere per un sottogruppo di pazienti nei quali le tecniche diagnostiche molto sensibili riconoscono parti di Rna virale quando il virus non ha più significato clinico, ma generalizzare è un azzardo. I focolai in Germania, a Pechino e in Lazio inducono a cautela. Confermo che i ricoveri sono molto calati ma oggi non sappiamo perché qualcuno è d
Matteo Bassetti
Ora va detta la quantità di virus. Stiamo bloccando persone che magari non sono per niente contagiose asintomatico e qualcun altro si ammala gravemente e muore. Su 250 pazienti di una Rsa lombarda, 40 sono morti. L’80% dei restanti 210 aveva tampone o sierologia positivi e si sono ammalati in modo lieve e asintomatico. Tutti gli ospiti erano anziani e con problemi di salute, ma perché non sono stati colpiti allo stesso modo?».
«Sono un ottimista prudente — aggiunge Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore generale dell’ospedale Galeazzi di Milano — ma il virus ci ha già fregati una volta. I focolai che vediamo in Italia e in Europa dimostrano che il coronavirus c’è, circola e contagia».
Anche Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di Malattie infettive è convinto della validità dello studio del Mario Negri: «Ma non possiamo estendere il concetto a tutta l’epidemia. Oggi stiamo studiando persone molto diverse rispetto al passato. Si tratta per lo più di soggetti asintomatici che scoprono casualmente la positività dopo un test sierologico e spesso il contagio avviene in famiglia, dove mediamente vivono persone più sane che hanno maggiori capacità di reagire al virus rispetto a chi si trova in una Rsa. Se tre mesi fa avessimo studiato gli asintomatici avremmo trovato anche lì poco virus».
Paolo Bonanni ordinario di Igiene all’università degli Studi di Firenze è convinto che servano dati quantitativi e non solo qualitativi: «Mi sembra prematuro cambiare ora le regole di ingaggio sulla base di un unico studio. Quello che sta succedendo in altre parti del mondo non ci lascia del tutto tranquilli. Piuttosto se vogliamo limitare il periodo di isolamento guardiamo alle nuove raccomandazioni dell’oms: non è più suggerito il doppio tampone negativo, dopo dieci giorni di isolamento ne vanno aggiunti tre senza sintomi per riconquistare la libertà».