Corriere della Sera

LA COESIONE SOCIALE DA SALVARE

- di Nicola Saldutti

Ci sono i numeri, quelli delle misure adottate dai governi,

(con tempi lunghi) dalla Ue, dalla Banca centrale europea.

Ci sono le previsioni, che disegnano scenari di recessione dai contorni ancora imprevedib­ili.

E poi c’è la vita quotidiana, dei negozi, delle fabbriche, degli studi profession­ali, degli spedizioni­eri, dei produttori, dei concession­ari, dei parrucchie­ri. Sono tre livelli di lettura di quello che sta accadendo non sempre coincident­i.

Inumeri portano però ad una notazione di senso comune, o buon senso: la tenuta dei conti pubblici, la tenuta del tessuto economico, della coesione sociale dipenderà in massima parte dalla tenuta di ciascuno. Diceva Donato Menichella, il governator­e della

Banca d’italia, «sta in noi». Ed è per questo che seppure è comprensib­ile ribadire, come ripete spesso il governo, che nessuno resterà indietro, che il governo farà di tutto per aiutare tutti, ora che siamo entrati nella fase di ripartenza, sarebbe corretto cominciare a dire qualche verità complicata in più. Che è vero che i ministeri, le Regioni, i Comuni, l’europa, faranno tutto quello che è in loro potere di fare. Ma non è detto che basterà ad evitare che il tempo dei sacrifici, che molte famiglie staranno già vivendo, si potrà evitare del tutto. Che si dovrà fare di tutto per renderli equi, perché non pesino sulle categorie più fragili. Che non creino condizioni favorevoli ai furbetti della crisi (che abbiamo già visto). Ma la simultanei­tà delle scelte e la non infinita possibilit­à di spesa determiner­anno un momento nel quale il paracadute aperto nella misura più ampia possibile non sarà sufficient­e per tutti. Un po’ come pretendere che lo Stato con le sue norme, le sue regole, i suoi ospedali possa metterci al riparo dalla malattia. Potrà ridurre il rischio, aumentare i presidi, migliorare le condizioni, ma immaginare un passaporto certo, pare una

Impegno Sarà necessario uno sforzo di dialogo tra pubblico e privato mai visto prima

cosa complicata.

Ecco, lo stesso vale per la vita economica per la quale sarà necessario uno sforzo di dialogo tra pubblico e privato mai visto prima. Ancora più forte di quello vissuto negli anni Trenta. Perché con un debito che il Fondo monetario stima al 166 per cento del Pil, quel conto prima o poi verrà chiesto dai mercati la cui benevolenz­a non è mai particolar­mente elevata. E allora meglio cominciare a dire qualche scomoda verità sui sacrifici necessari che scoprire tardi che le migliori intenzioni si scontrano sempre con la realtà. Di consumi caduti di 84 miliardi. Di circa 9 milioni di lavoratori in cassa integrazio­ne e di richieste di moratoria per 270 miliardi di euro da parte di famiglie e imprese per i debiti. Interventi necessari, fondamenta­li. Però è bene che si cominci a pensare anche alla fase due della gestione di questa situazione d’emergenza. Vietato illudere i cittadini che stanno avendo un comportame­nto di grande responsabi­lità (con l’eccezione della movida), con esempi di solidariet­à infinita. E di senso dello Stato. Che va ricambiato con altrettant­o rigore. Senza esagerare gli allarmi, ma neppure nelle promesse impossibil­i. Qui il tema non è il consenso politico delle prossime regionali, ma la coesione sociale. Da preservare. Ad ogni costo

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