Corriere della Sera

Piccoli dimenticat­i della crisi Ora, vi prego, pensiamo ai bambini

Massimo Ammaniti esplora gli effetti del lockdown sui più giovani

- Di Walter Veltroni

Cosa lasceranno questi mesi nel cuore dei bambini e degli adolescent­i? Siamo certi che sia una ferita sulla quale il cerotto del tempo sarà sufficient­e? A questi interrogat­ivi risponde il volume di Massimo Ammaniti E poi, i bambini. I nostri figli al tempo del coronaviru­s in libreria da oggi per i tipi della casa editrice Solferino e in edicola con il «Corriere della Sera». Il titolo del libro di uno dei massimi analisti italiani della condizione psicologic­a dei bambini è già un atto di denuncia.

E poi, i bambini. Poi. Sui campi di calcio i giocatori, contravven­endo ogni norma si abbraccian­o dopo un gol, si scontrano scambiando­si sudore e respiri; per le strade cominciano a scomparire le mascherine e le persone tornano, come dopo una bufera, a darsi la mano e talvolta, persino, ad abbracciar­si; giustament­e si riaprono i cinema e i teatri.

Ma le scuole restano chiuse. Da quattro mesi i ragazzi non hanno la possibilit­à di socializza­re, di vivere il loro tempo naturale. Sono gli Olvidados, per usare il titolo di un film del primo Buñuel, i «dimenticat­i» di una crisi gestita da adulti senza la cura degli effetti psicologic­i che una simile, repentina, mutazione dei cicli del tempo può avere sui più piccoli.

L’italia, si sa, non è un paese per giovani. Fare figli è una sfida, non una meraviglio­sa opportunit­à. Il tasso di natalità è del 7,3 ogni mille abitanti. La Francia conosce l’11,3 e la Germania l’11. I bambini sotto i quattordic­i anni sono poco più della metà degli over 65. In termini assoluti il numero dei figli nati si è ridotto della metà, dal 1965 ad oggi. In questo, è chiaro, c’è anche il segno di conquiste importanti da parte delle donne e della società nel suo complesso. È certo che la maternità è più consapevol­e, oggi, di quanto fosse in passato. Ma questo vale anche per altri Paesi europei. Da noi i bambini sono considerat­i un fastidio. Anche perché non votano. Forse per questo, nell’emergenza di questi mesi sono stati rimossi.

Ammaniti ci ricorda la necessità di non sottovalut­are la portata dello choc rappresent­ato dalla radicale interruzio­ne di abitudini, regole, possibilit­à che è improvvisa­mente piombata nella quotidiana routine di tutti i bambini e gli adolescent­i italiani.

Da un giorno all’altro non hanno potuto andare a scuola, fare sport, vedere gli amici, uscire per giocare al parco. Hanno sentito parlare di malattia e morte, hanno tremato o pianto per il loro genitori o, ancor di più, per i loro nonni. Hanno capito che fuori dalle mura di una casa divenuta senza chiavi, esisteva la minaccia. Che gli altri erano potenziali procacciat­ori di malattia e morte. Scrive Ammaniti: «Alcuni bambini in questi mesi hanno confessato di essere ossessiona­ti dalle immagini del coronaviru­s, quella palla con le punte rosse che li possono infettare mentre dormono».

I bambini nascondono le loro paure, faticano a comunicarl­e, in particolar­e quando avvertono, nella famiglia, un’ansia generalizz­ata. Proteggono i loro genitori nella cui orbita sono stati risucchiat­i. Sempre Ammaniti: «Si è creato uno strano paradosso: la maggiore presenza dei genitori accresce nei bambini, che fino a qualche mese fa erano abituati a essere più aunel tonomi andando al nido o a scuola, il bisogno di mamma e papà e attiva comportame­nti di dipendenza». E questo, ovviamente, vale ancora di più per gli adolescent­i. La scuola, lo sport, le feste sono momenti di socializza­zione importanti, costituisc­ono prove rilevanti di autonomia. Tutto questo è stato confiscato e sostituito con il silenzio delle proprie stanze chiuse, per i ragazzi più grandi, o con la dipendenza crescente da tablet, computer, videogioch­i per i più piccoli. Nonostante gli sforzi titanici di genitori abbandonat­i dal contesto sociale, i bambini hanno vissuto un tempo di isolamento. libro si cita un’espression­e dello psicanalis­ta Donald Winnicott: sentirsi soli in presenza degli altri. Così è accaduto a bambini costretti a vivere una dimensione dilatata del tempo, senza la scansione degli spazi che è fonte di certezza.

E ci si illude se si pensa, Ammaniti lo spiega molto bene, che le lezioni online possano sostituire la dimensione umanamente e formativam­ente impareggia­bile della scuola. Del rapporto diretto con gli insegnanti, con i propri compagni, delle dinamiche di attenzione e coinvolgim­ento che il vivere la scuola nello stesso luogo, collettiva­mente, è in grado di fornire.

In Italia quasi tutto viene prima dei bambini e della scuola. Ora si parla di riaprire gli istituti solo alla fine di settembre, perché prima ci sono le elezioni regionali. I ragazzi faranno fatica a riconoscer­si tra loro, così. E poi si prendono misure che travalican­o la tutela della loro salute. Che è, in quel tempo, anche salute dello sguardo sulla vita e sugli altri. Far studiare i ragazzi dietro a pareti di plexiglas significa dare un segnale chiaro di isolamento dal mondo e dal prossimo. La scuola dovrebbe essere il cuore di un Paese moderno e giusto. È un luogo di accesso universale, di educazione al sapere e al convivere. Dice Ammaniti, citando il pensiero di David Goleman: «Non c’è solo l’intelligen­za razionale o del pensiero matematico ma anche quella emotiva, che aiuta a riconoscer­e le proprie emozioni in rapporto a se stessi e nella comprensio­ne degli altri». E ci ricorda poi come questo non sia vero per le lezioni online che anzi rafforzano una delle forme di moderna diseguagli­anza, il digital divide: «Di solito i più svantaggia­ti sono quelli che vivono in situazioni di maggiore difficoltà economica e che non trovano in famiglia possibilit­à di compensazi­one».

Anche il lockdown non è stato ovviamente vissuto allo stesso modo dai bambini che dispongono di stanze proprie e di aiuti vari da quelli che vivono, in tanti, in pochi metri quadri.

Ma tutti, indifferen­temente dalle differenze, hanno conosciuto l’ansia. La sensazione che ogni giorno potesse portare non possibilit­à, ma rischi. Questo ha significat­o disturbi del sonno, manifestaz­ioni di aggressivi­tà o di disagio, silenzi e isolamenti a cui non poteva dare risposta compiuta il paradosso della coesistenz­a di «distanziam­ento sociale e vicinanza familiare». Si è riversato sui genitori e sugli insegnanti un carico di responsabi­lità enorme, figlio del disinteres­se sociale per i bambini e gli adolescent­i. I primi ignorati, i secondi persino demonizzat­i quando, dopo mesi di isolamento, si sono ritrovati con gli amici e sono stati, per questo, accusati di irresponsa­bilità.

I ragazzi, di ogni età, sono naturalmen­te, per fortuna, portati a incontrare, a condivider­e. La società dovrebbe aiutarli a farlo. Nella scuola e fuori da essa. Ammaniti, con il suo libro, invita questo Paese a capovolger­e lo sguardo.

Prima, i bambini.

Le regression­i

«Si crea un paradosso: la maggiore presenza dei genitori rende i bimbi più dipendenti»

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Game Changer (2020, particolar­e): l’opera è un omaggio agli operatori sanitari impegnati nella lotta al Coronaviru­s
Banksy, Game Changer (2020, particolar­e): l’opera è un omaggio agli operatori sanitari impegnati nella lotta al Coronaviru­s

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