Piccoli dimenticati della crisi Ora, vi prego, pensiamo ai bambini
Massimo Ammaniti esplora gli effetti del lockdown sui più giovani
Cosa lasceranno questi mesi nel cuore dei bambini e degli adolescenti? Siamo certi che sia una ferita sulla quale il cerotto del tempo sarà sufficiente? A questi interrogativi risponde il volume di Massimo Ammaniti E poi, i bambini. I nostri figli al tempo del coronavirus in libreria da oggi per i tipi della casa editrice Solferino e in edicola con il «Corriere della Sera». Il titolo del libro di uno dei massimi analisti italiani della condizione psicologica dei bambini è già un atto di denuncia.
E poi, i bambini. Poi. Sui campi di calcio i giocatori, contravvenendo ogni norma si abbracciano dopo un gol, si scontrano scambiandosi sudore e respiri; per le strade cominciano a scomparire le mascherine e le persone tornano, come dopo una bufera, a darsi la mano e talvolta, persino, ad abbracciarsi; giustamente si riaprono i cinema e i teatri.
Ma le scuole restano chiuse. Da quattro mesi i ragazzi non hanno la possibilità di socializzare, di vivere il loro tempo naturale. Sono gli Olvidados, per usare il titolo di un film del primo Buñuel, i «dimenticati» di una crisi gestita da adulti senza la cura degli effetti psicologici che una simile, repentina, mutazione dei cicli del tempo può avere sui più piccoli.
L’italia, si sa, non è un paese per giovani. Fare figli è una sfida, non una meravigliosa opportunità. Il tasso di natalità è del 7,3 ogni mille abitanti. La Francia conosce l’11,3 e la Germania l’11. I bambini sotto i quattordici anni sono poco più della metà degli over 65. In termini assoluti il numero dei figli nati si è ridotto della metà, dal 1965 ad oggi. In questo, è chiaro, c’è anche il segno di conquiste importanti da parte delle donne e della società nel suo complesso. È certo che la maternità è più consapevole, oggi, di quanto fosse in passato. Ma questo vale anche per altri Paesi europei. Da noi i bambini sono considerati un fastidio. Anche perché non votano. Forse per questo, nell’emergenza di questi mesi sono stati rimossi.
Ammaniti ci ricorda la necessità di non sottovalutare la portata dello choc rappresentato dalla radicale interruzione di abitudini, regole, possibilità che è improvvisamente piombata nella quotidiana routine di tutti i bambini e gli adolescenti italiani.
Da un giorno all’altro non hanno potuto andare a scuola, fare sport, vedere gli amici, uscire per giocare al parco. Hanno sentito parlare di malattia e morte, hanno tremato o pianto per il loro genitori o, ancor di più, per i loro nonni. Hanno capito che fuori dalle mura di una casa divenuta senza chiavi, esisteva la minaccia. Che gli altri erano potenziali procacciatori di malattia e morte. Scrive Ammaniti: «Alcuni bambini in questi mesi hanno confessato di essere ossessionati dalle immagini del coronavirus, quella palla con le punte rosse che li possono infettare mentre dormono».
I bambini nascondono le loro paure, faticano a comunicarle, in particolare quando avvertono, nella famiglia, un’ansia generalizzata. Proteggono i loro genitori nella cui orbita sono stati risucchiati. Sempre Ammaniti: «Si è creato uno strano paradosso: la maggiore presenza dei genitori accresce nei bambini, che fino a qualche mese fa erano abituati a essere più aunel tonomi andando al nido o a scuola, il bisogno di mamma e papà e attiva comportamenti di dipendenza». E questo, ovviamente, vale ancora di più per gli adolescenti. La scuola, lo sport, le feste sono momenti di socializzazione importanti, costituiscono prove rilevanti di autonomia. Tutto questo è stato confiscato e sostituito con il silenzio delle proprie stanze chiuse, per i ragazzi più grandi, o con la dipendenza crescente da tablet, computer, videogiochi per i più piccoli. Nonostante gli sforzi titanici di genitori abbandonati dal contesto sociale, i bambini hanno vissuto un tempo di isolamento. libro si cita un’espressione dello psicanalista Donald Winnicott: sentirsi soli in presenza degli altri. Così è accaduto a bambini costretti a vivere una dimensione dilatata del tempo, senza la scansione degli spazi che è fonte di certezza.
E ci si illude se si pensa, Ammaniti lo spiega molto bene, che le lezioni online possano sostituire la dimensione umanamente e formativamente impareggiabile della scuola. Del rapporto diretto con gli insegnanti, con i propri compagni, delle dinamiche di attenzione e coinvolgimento che il vivere la scuola nello stesso luogo, collettivamente, è in grado di fornire.
In Italia quasi tutto viene prima dei bambini e della scuola. Ora si parla di riaprire gli istituti solo alla fine di settembre, perché prima ci sono le elezioni regionali. I ragazzi faranno fatica a riconoscersi tra loro, così. E poi si prendono misure che travalicano la tutela della loro salute. Che è, in quel tempo, anche salute dello sguardo sulla vita e sugli altri. Far studiare i ragazzi dietro a pareti di plexiglas significa dare un segnale chiaro di isolamento dal mondo e dal prossimo. La scuola dovrebbe essere il cuore di un Paese moderno e giusto. È un luogo di accesso universale, di educazione al sapere e al convivere. Dice Ammaniti, citando il pensiero di David Goleman: «Non c’è solo l’intelligenza razionale o del pensiero matematico ma anche quella emotiva, che aiuta a riconoscere le proprie emozioni in rapporto a se stessi e nella comprensione degli altri». E ci ricorda poi come questo non sia vero per le lezioni online che anzi rafforzano una delle forme di moderna diseguaglianza, il digital divide: «Di solito i più svantaggiati sono quelli che vivono in situazioni di maggiore difficoltà economica e che non trovano in famiglia possibilità di compensazione».
Anche il lockdown non è stato ovviamente vissuto allo stesso modo dai bambini che dispongono di stanze proprie e di aiuti vari da quelli che vivono, in tanti, in pochi metri quadri.
Ma tutti, indifferentemente dalle differenze, hanno conosciuto l’ansia. La sensazione che ogni giorno potesse portare non possibilità, ma rischi. Questo ha significato disturbi del sonno, manifestazioni di aggressività o di disagio, silenzi e isolamenti a cui non poteva dare risposta compiuta il paradosso della coesistenza di «distanziamento sociale e vicinanza familiare». Si è riversato sui genitori e sugli insegnanti un carico di responsabilità enorme, figlio del disinteresse sociale per i bambini e gli adolescenti. I primi ignorati, i secondi persino demonizzati quando, dopo mesi di isolamento, si sono ritrovati con gli amici e sono stati, per questo, accusati di irresponsabilità.
I ragazzi, di ogni età, sono naturalmente, per fortuna, portati a incontrare, a condividere. La società dovrebbe aiutarli a farlo. Nella scuola e fuori da essa. Ammaniti, con il suo libro, invita questo Paese a capovolgere lo sguardo.
Prima, i bambini.
Le regressioni
«Si crea un paradosso: la maggiore presenza dei genitori rende i bimbi più dipendenti»