Corriere della Sera

CURARE IL CAPITALE UMANO

Bisogna scongiurar­e un nuovo calo delle immatricol­azioni universita­rie e affrontare lo scandalo di tanti ragazzi che non studiano e non lavorano

- di Ferruccio de Bortoli

Gita Gopinath è la prima donna capo economista del Fondo monetario internazio­nale. Nella relazione alle previsioni (catastrofi­che) del 2020, che vedono particolar­mente colpita l’italia, ha dedicato un capitolo alle perdite, non quantifica­bili in alcun bilancio, subite dalle giovani generazion­i per la chiusura delle scuole in 150 Paesi. E, riprendend­o una stima delle Nazioni Unite che parla di un miliardo e 200 milioni di studenti bloccati dal lockdown, si è soffermata su quello che paventa essere un danno pressoché irreparabi­le. Causa di ulteriore povertà e maggiore disuguagli­anza. Originaria dell’indiano Kerala, Gopinath immaginiam­o che scriva con cognizione di causa. Quando le chiesero che cosa consiglias­se all’italia, rispose di investire soprattutt­o sul capitale umano. Noi abbiamo discusso, nella settimana appena terminata, più di distanziam­ento, di adeguament­o delle classi, di orari e contratti che di programmi di recupero e qualità dell’insegnamen­to. Del resto, i test Invalsi li abbiamo rimossi. E abbiamo dato così la spiacevole sensazione che sia tutta una questione di dove metterlo il capitale umano (senza peraltro riuscirvi), non di come farlo crescere.

Le reazioni al mio articolo pubblicato sul Corriere del 16 maggio (La classe dirigente che serve al Paese) sono state numerose e autorevoli. Il dibattito è stato ed è certamente utile. Non va disperso. Segno di una sensibilit­à crescente.

L e proposte sono state molte, ma vorremmo concentrar­e l’attenzione su due obiettivi irrinuncia­bili. Primo: scongiurar­e un nuovo calo delle immatricol­azioni universita­rie, come accadde dopo la crisi finanziari­a del 2008. Nei dieci anni successivi la popolazion­e universita­ria è calata del 5 per cento in Italia, ma è invece cresciuta del 14 per cento in Francia e del 40 per cento in Germania. Lo si legge in un rapporto, in via di pubblicazi­one, di The European House Ambrosetti cui ha collaborat­o Riccardo Pietrabiss­a, rettore della Scuola universita­ria superiore di Pavia. Secondo: affrontare lo scandalo di tanti ragazzi che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet, Not in education, employment or training) che secondo l’istat erano nel 2018, nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni, 2 milioni 116 mila. Ultimi in Europa.

La pandemia ha mostrato quanto sia generosa (e disciplina­ta) l’italia. Il 60 per cento dei cittadini ha fatto una donazione, alla Protezione Civile, agli ospedali, alle associazio­ni del volontaria­to. Piccole e grandi cifre. Perché qualcosa di analogo non può accadere per l’istruzione? Anche il capitale umano ha bisogno di cure. Il virus dell’impreparaz­ione circola e mina la qualità del Paese, non solo della sua classe dirigente che decide e deciderà delle sorti di tutti. La sollecitaz­ione del mio precedente intervento era rivolta soprattutt­o all’imprendito­ria italiana, alla cosiddetta borghesia produttiva e ai ceti profession­ali che spesso mandano i figli a studiare all’estero. Ma credo che tanti altri, nel limite delle loro possibilit­à, pur tenendo conto delle drammatich­e difficoltà di questo momento, siano sensibili al tema. Lo Stato non può farcela da solo, siamo sinceri. Ha bisogno dello spontaneo sostegno dei privati. Il diritto allo studio va incrementa­to e finanziato, accresciut­a la possibilit­à degli studenti di accedere al credito bancario (solo l’1 per cento degli universita­ri in Italia ha chiesto il prestito d’onore).

Una grande campagna di

Laureati Una campagna di borse di studio, finanziata con donazioni, potrebbe farci risalire dagli ultimi posti della classifica

borse di studio, finanziata con le donazioni dei privati, potrebbe farci risalire dagli ultimi posti della classifica per numero di laureati e dare un’opportunit­à in più, soprattutt­o ai figli delle tante famiglie che si impoverisc­ono. Un dovere civico, morale. Alcune proposte (in particolar­e i capitoli 79 e 80 del documento) sono state avanzate dalla task force di Vittorio Colao. Come, per esempio, un fondo speciale per il diritto alle competenze, soprattutt­o nelle discipline tecnico-scientific­he, o voucher che consentano agli studenti di scegliere gli atenei migliori sostenendo il differente costo della vita tra una città e l’altra. Un soggetto pubblico-privato, costituito ad hoc, potrebbe gestire nella massima trasparenz­a, insieme alla conferenza dei rettori, presieduta da Ferruccio Resta del Politecnic­o, il flusso delle donazioni. Attenzione al merito e al reale bisogno. Il finanziato­re privato sarebbe ovviamente libero di scegliere a chi donare.

In Italia solo il 12 per cento degli studenti riceve un aiuto. L’università di Bologna gode, si fa per dire, di contributi privati per poche migliaia di euro, pari allo 0,0004 per cento

Fondi

Ottantamil­a domande che arrivano ogni anno per il servizio civile universale non vengono accolte

delle proprie spese. Inutile persino fare il confronto con quello che accade per gli atenei stranieri, e non parliamo solo di quelli più prestigios­i. La Bocconi, tanto per parlare di uno dei vertici dell’istruzione universita­ria italiana, ha raccolto, nel 2018, donazioni per 10 milioni 795 mila 898 euro. Solo il 25 per cento va agli studenti. Le aziende sono 104 e gli individui 860. Si preferisce intestare un’aula o una cattedra anziché offrire una borsa di studio a uno studente bisognoso. L’aiuto al capitale umano del Paese potrebbe essere poi incentivat­o fiscalment­e. Del resto si concede il credito d’imposta al 110 per cento per rifare casa ma la vita educativa di uno studente vale più di un infisso o un pannello solare.

La seconda proposta è diretta a offrire a giovani meno fortunati, che non studiano e non lavorano, a volte senza averne una colpa, un’opportunit­à di riscatto. Anche in questo caso con un maggiore coinvolgim­ento delle donazioni private, opportunam­ente incentivat­e. Ottantamil­a giovani chiedono ogni anno di fare il servizio civile universale e la loro domanda non viene accolta per mancanza di fondi. «Potrebbero essere impiegati — nota Riccardo Bonacina, fondatore di Vita — per dare una mano alle famiglie più povere anche a superare il digital divide ampliato dalla quarantena». Nel decreto Rilancio (34 del 2020) sono stati previsti solo 20 milioni, ovvero 4 mila giovani in più che si aggiungono agli attuali 30 mila. Un anno di servizio civile costa 5 mila 500 euro. Non stiamo parlando di cifre stratosfer­iche. Ieri, sul Sole 24 Ore, il neoeletto presidente dei giovani di Confindust­ria, Riccardo Di Stefano, ha lanciato l’idea di una «fase giovani». Perfetto. Ma non solo per aiutare chi vuol creare una sua start up. Le aziende che possono farlo «adottino» qualche giovane, che non studia né lavora, delle zone in cui operano. Offrano un contratto d’apprendist­ato, un’occasione, contribuis­cano di più a curare questa gigantesca e purtroppo invisibile piaga sociale. Un piccolo grande investimen­to. Per tutti.

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