Trasformò la cultura visiva Con umiltà
Ci sono uomini che disegnano il proprio destino nel segno della compiutezza, la stessa di un cerchio che non ha un vero inizio né una fine, ma che nella sua perfezione contiene il tutto. Milton Glaser è morto nel giorno del 91° compleanno, e anche in questa data così singolare, da amante dell’armonia e da uomo animato da intensa spiritualità, sembra ricordarci che ciò che dà un senso alla vita, lo dà anche alla morte.
D’altronde lo si capì nel 1976, quando Glaser, tra le voci più riconosciute del graphic design internazionale, abbozza in taxi un logo che diventa subito un messaggio universale di appartenenza e condivisione, capace di superare razze, religioni, colori della pelle: due parole e un cuore rosso per dire al mondo: «Io amo New York». E il mondo risponde a quel respiro sofferto, che nasce in un momento di crisi con una chiamata all’appello: sì teniamoci stretti, amiamo la nostra Grande Mela. Non era un semplice logo richiesto dallo Stato di New York per promuovere la città, era una bandiera dietro la quale stare uniti e andare in battaglia.
Glaser, da vero maestro, ha percorso il sistema della comunicazione con inconsueta umiltà. Animato dall’amore per l’italia, per Piero della Francesca, accompagnato da una costante ricerca interiore e con lo spirito curioso da artista d’avanguardia, Glaser ha davvero cambiato il vocabolario della cultura visiva nel mondo. Ma nonostante le sue copertine di libri e i fantasiosi poster dal taglio psichedelico, le sue invenzioni di giornali nel dialogo tra immagini e parole e la collaborazione con Olivetti, lui, genio della comunicazione, non amava gli «uomini della comunicazione», quelli del marketing e del profitto a tutti i costi. Per lui contava la qualità del messaggio. Ha inseguito e difeso sempre il contenuto, e l’etica del graphic design ben consapevole che la grafica è un linguaggio invisibile dal grande potere: modella le coscienze.