Il sindaco di Alzano: «Abbiamo imparato ad essere comunità»
BERGAMO «Quei mesi per noi sono stati una lunga, infinita notte», mormora fermandosi per un attimo a pensare. Su Alzano Lombardo splende il sole di una domenica pomeriggio e il sindaco Camillo Bertocchi sta preparando la fascia tricolore da indossare alla commemorazione.
«Solo in marzo ad Alzano abbiamo avuto 108 morti contro una media di 11 degli anni scorsi — spiega Bertocchi, 44 anni —. Per questo per noi è difficile ripartire».
Se ripensa all’emergenza qual è il primo ricordo?
«Le settimane centrali di marzo sono state drammatiche per la gestione sanitaria. Ma la cosa peggiore è stata la mancanza di ossigeno, se ci ripenso mi vengono ancora i brividi. Mi telefonavano: mio padre non ha più ossigeno, non riesce a respirare».
Vi siete dovuti mettere a cercare dispositivi di protezione che nessuno vi forniva.
«I medici di base erano disorientati e noi ci siamo fatti carico di reperire mascherine e guanti da tutto il mondo. E poi c’erano le sirene delle ambulanze che risuonavano a ogni ora. Non c’era mai soluzione di continuità al dolore, alla sofferenza, alla preoccupazione e alla necessità di darsi da fare. Erano talmente tanti i problemi che ci è mancato anche il tempo di capire tante cose».
Ha detto spesso che vi siete sentiti lasciati soli.
«La gente mi ringrazia ancora per la comunicazione. I cittadini sentivano di tutto e noi sindaci abbiamo cercato di garantire la credibilità delle istituzioni. Ma non era facile. Noi stessi chiamavamo per avere risposte che non arrivavano, e ci dovevamo arrangiare. Nei primi tempi non riuscivamo nemmeno a dare una proporzione al problema. Fin quando abbiamo visto i dati dei decessi che venivano comunicati all’anagrafe».
L’intervento del presidente Mattarella può ricucire il rapporto tra cittadini e istituzioni?
«È una serata del ricordo, ma anche della coesione e del raccoglimento, e la presenza del presidente significa proprio questo. Se tutto questo ci ha insegnato qualcosa, sulla nostra pelle, è la necessità di essere comunità e di essere uniti: questo è stato il nostro principale elemento di forza, senza il quale non saremmo stati in grado di uscirne».
Ci sono le inchieste, anche sullo stesso ospedale di Alzano e la mancata zona rossa: questo crea anche rabbia?
«Io sento soprattutto la voglia di stare uniti. Ma in questo momento per noi è tutto difficile, direi molto lento. In qualsiasi cosa facciamo, tutto impone prudenza: per noi c’è ancora una grande paura di ricadere in quella emergenza. Certo, c’è voglia di ripartire ma con la consapevolezza che non è facile. Si sente anche l’improvvisa mancanza di tante persone che avevano rappresentato figure di riferimento per la comunità. È un’altra emergenza, poco raccontata ma ugualmente drammatica. C’è bisogno di colmare i vuoti per tornare a lavorare insieme».