IL FUTURO TORNA A CASA
Idee È di Fondazione Bracco l’iniziativa (da un milione) per un centro al Politecnico di Milano, dedicato a uno degli ambiti più innovativi VILÉ LAVORAVA ALL’ESTERO DA ANNI ORA RIENTRA CON UNA BORSA DI STUDIO E APPROFONDIRÀ QUI LA CHIMICA VERDE
Avolte ritornano, i cervelli. Per il futuro dell’italia dovrebbero essere la normalità. Se ne parla da anni, si sentono proclami, ma restano parole: nel 2018 se ne sono contati 62mila, di cervelli in fuga. E non sarebbe questo il problema. Purtroppo, però, quando i giovani laureati che fanno ricerca all’estero, dove accumulano esperienza internazionale, interagiscono con studiosi di altre scuole, incamerano metodi utili a svecchiare il nostro solido ma vetusto universo accademico, cercano di tornare in Italia, si trovano di fronte barriere insormontabili. Non è questione di stipendi più o meno adeguati, ma di una chiusura mentale (e non solo), dell’incapacità di scommettere su personalità e curriculum che si propongono dall’esterno.
Quando Gianvito Vilé, trentun anni, originario della provincia di Brindisi, una laurea con lode in ingegneria chimica al Politecnico di Milano, dottorato a Zurigo, lavoro in aziende farmaceutiche svizzere fino ad assumere la direzione
Il tempo
Cinque anni sono una rarità nel mondo della ricerca, dove il tempo si misura in un anno o due
di un centro di ricerca, ha annunciato ai colleghi che faceva le valige e tornava a Milano, hanno detto: «Scherzi o dici sul serio?». Era serissimo.
La Fondazione Bracco e Bracco Imaging, in collaborazione con il Politecnico e la Fondazione Politecnico di Milano, gli hanno assegnato il Premio Felder, che consiste in una borsa di un milione di euro per una ricerca in campo chimico della durata di cinque anni.
Con quei soldi può assumere ricercatori e acquisire gli strumenti per lavorare a un progetto che, altro miracolo, non si pone l’obiettivo di scoprire qualche molecola che faccia lievitare i fatturati, bensì di sperimentare metodi di lavorazione chimica che riducano l’inquinamento.
Ingegner Vilé, ma allora il dio dei giovani scienziati esiste. E si è accorto di lei: come è accaduto?
«Ho vissuto sette anni a Zurigo e due a Basilea. Ottima esperienza, ma sognavo di tornare in Italia e di lavorare in ambito accademico. Però i concorsi sono rarissimi e a quelli a cui ho partecipato non sono stato preso. Allora
Gli obiettivi Sognavo di tornare in Italia e di lavorare in ambito accademico. Però i concorsi sono rarissimi
mi sono guardato in giro per il mondo e ho ricevuto due proposte da Singapore proprio quando, spenta ogni speranza, mi sono imbattuto nella Fondazione Bracco. Non ci volevo credere. Soprattutto perché, valutato un mio progetto e risolti i casi di studio che la commissione esaminatrice mi ha sottoposto, hanno deciso che la borsa di studio era mia».
Facciamo un passo indietro. Come mai era finito a Zurigo? Perché in Italia non c’era la possibilità di un dottorato di ricerca?
«In realtà mi trovavo già in Svizzera, dove ho concluso la tesi di laurea specialistica. Seguivo un progetto che mi entusiasmava
In laboratorio Gianvito Vilé, 33enne originario della Puglia, ha vinto il Premio Felder, il progetto che gli permette di tornare in Italia (ph: Contrasto) e mi hanno offerto una borsa di studio. Certo, in Italia è più complicato, perché le posizioni di dottorato sono poche. Al Politecnico di Milano, in totale, si arriva a una ventina di borse, mentre a Zurigo ogni gruppo di lavoro ne ha dieci».
Avrebbe preferito una chance in un ateneo del Sud?
«Non necessariamente. Anzi, amo Milano, una città cosmopolita attenta alle scienze. Se devo essere sincero, quando pensavo di voler lavorare in ambito accademico nel mio Paese pensavo all’europa. Sarei andato anche a Singapore, con dispiacere dei miei genitori, ma sempre con il pensiero a casa mia, che è la Puglia, l’italia, l’europa».
Lei adesso ha un contratto di cinque anni, non breve, ma non è il «posto fisso» a cui tutti ambiscono…
«Cinque anni sono una rarità nel mondo della ricerca, dove il tempo si misura in un anno, massimo due. Non lo considero un limite, è anzi uno stimolo. Cinque anni per fare ricerca, comunicare le proprie scoperte sulle riviste, partecipare a convegni, farsi conoscere. Se lavori bene hai l’opportunità di attrarre nuovi finanziamenti, magari dall’europa, dove l’italia incontra sempre molte difficoltà. Posso portare la mia esperienza anche in questo, chissà mai che si riescano a far confluire più fondi dall’estero».
Lei è un esperto in un settore che tutti dicono (speriamo non solo a parole) sia il futuro, vale a dire quello della riduzione dell’inquinamento.
«Sì, chiamiamola chimica verde, per semplicità. Storicamente l’industria farmaceutica è stata tra le più inquinanti perché produce una marea di solventi. Oggi non è più così, e il mio progetto mira a sperimentare nuovi processi che riducano ulteriormente la quantità di scarti con un prodotto migliore. Se vuole entro nei dettagli…».
No grazie, le formule chimiche non vengono bene sui giornali… Mi dica piuttosto come un pugliese è riuscito a sopravvivere tutti questi anni a Zurigo.
«Dovevo farmi bastare il lago, però Zurigo, al contrario delle apparenze, è una città “facile”: il 30 per cento degli abitanti è straniero e la popolazione è molto giovane. Certo, Basilea è un’altra cosa».
La destinazione
Non volevo per forza tornare al Sud: Milano è una città che amo molto, è attenta alle scienze