Corriere della Sera

L’urlo di Smith «Basta tacere: la carta olimpica va cambiata»

L’icona contro il Cio e l’articolo 50

- Gaia Piccardi

Il primo uomo fu Tommie Smith. Il pugno guantato a sostegno del black power, sferrato insieme a John Carlos sul podio dei 200 ai Giochi rivoluzion­ari di Città del Messico 1968, costò allo sprinter la sospension­e da parte del pessimo presidente del Cio Avery Brundage ma servì ad aprire un varco. Senza Smith e Carlos non sarebbe esistito Colin Kaepernick, il quarterbac­k che si è inginocchi­ato per protesta durante l’inno americano (perdendo il lavoro), Megan Rapinoe che lo ha imitato non sarebbe diventata un’icona e la foto delle calciatric­i di Portland e Chicago, inginocchi­ate a centrocamp­o a favore del movimento «Black

● L’immagine simbolo dei Giochi di Città del Messico ‘68: oro dei 200 a Tommie Smith e bronzo a John Carlos, con il pugno nero guantato. Norman vinse l’argento. lives matter» in occasione del primo turno della Nwsl (National women’s soccer league) non avrebbe fatto il giro del mondo in 80 secondi.

Cinquantad­ue anni dopo, con gli atti dimostrati­vi degli sportivi — da Lewis Hamilton a Romelu Lukaku — riaccesi dall’indignazio­ne interplane­taria per la morte di George Floyd a Minneapoli­s (25 maggio), il 76enne Smith è ricomparso sulle colonne del New York Times per dire che basta, non è più tempo di tacere né di sottoporsi a regole ingiuste e obsolete, sorpassate dagli eventi. L’articolo 50 della Carta Olimpica, ad esempio, pensato per proteggere la neutralità dello sport e del movimento olimpico: «Nessun tipo di dimostrazi­one o propaganda politica, religiosa o razziale è consentita in qualsiasi sito olimpico, sedi o altre aree». Dal potente Comitato olimpico Usa, firmata tra gli altri anche da John Carlos, è partita verso Losanna una lettera che ne chiede al presidente del Cio Thomas Bach l’abolizione. «Non possiamo tollerare che si continuino a punire atleti che si espongono per ciò in cui credono, soprattutt­o se sono principi di eguaglianz­a in sintonia con i valori dell’olimpismo — c’è scritto —. Non è più il momento di zittire gli atleti».

Il vento, forse, sta girando. Il museo di Asian Art di San Francisco ha rimosso dall’atrio il busto di Brundage, che fu grande mecenate delle arti (più di 8 mila opere esposte provengono dal patrimonio privato di Brundage, morto nel ‘75 all’età di 87 anni) ma anche uomo di comprovate opinioni razziste e antisemite: fu sua la decisione di sostituire Glickman e Stoller, i due staffettis­ti ebrei della 4x100 americana ai Giochi di Berli

In ginocchio

Le calciatric­i inginocchi­ate in favore del movimento «Black lives matter» durante il primo turno della Nwsl Challenge Cup, il torneo che sabato ha segnato la ripresa del calcio donne negli Usa (Afp) no ‘36, per non mettere in imbarazzo Adolf Hitler. L’11 giugno scorso la Federcalci­o Usa ha abolito il divieto di inginocchi­arsi durante l’inno: «È chiaro che questa norma era sbagliata e che non è stata compresa l’importanza del messaggio di Black Lives Matter, una protesta che sosteniamo così come la lotta a ogni forma di discrimina­zione» il mea culpa della USSF.

«Speriamo che il voto di novembre cambi il corso della nostra storia — l’augurio di Smith al Nyt —, il nostro grido di libertà merita di essere ascoltato dal 1968». Anche dai parrucconi dei Cio.

Proteste e diritti

Da Kaepernick a Megan Rapinoe e alle calciatric­i Usa: «Non è più tempo di zittirci»

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