Il decreto bloccato dalle divisioni sulle gare «veloci» e l’abuso d’ufficio
Se non verranno prima risolti i numerosi punti di dissenso nella maggioranza, difficilmente il decreto legge Semplificazioni potrà arrivare questa settimana all’esame del Consiglio dei ministri, come vorrebbe il premier Giuseppe
Conte. Per ora sembra sciolto solo il nodo del condono edilizio che, dopo l’opposizione di Pd, Iv e Leu, sarebbe stato stralciato dalla bozza di 48 articoli. Restano però tensioni sui commissariamenti secondo il modello Genova, sugli appalti a trattativa diretta anziché a gara e sulle riforme dell’abuso d’ufficio e del danno erariale.
1 Condono
L’articolo incriminato è il numero 10. Conte ha provato a difenderlo, sostenendo che non si trattava di un colpo di spugna sugli abusi edilizi, ma alla fine si è dovuto arrendere e la norma non dovrebbe neppure arrivare in Consiglio dei ministri. Si prevedeva una sanatoria per le opere abusive che non erano conformi al piano regolatore al momento della loro realizzazione ma lo sono attualmente per effetto di una modifica dello stesso nel frattempo intervenuta. La regolarizzazione, sosteneva la relazione illustrativa, «non opera una sanatoria retroattiva, ma si limita a riscontrare l’attuale conformità dell’opera» prevedendo «più onerose sanzioni pecuniarie». Del resto, si aggiunge, in questi casi la demolizione «è generalmente percepita come impraticabile», ma tali immobili, anche se «interamente conformi alla pianificazione odierna», non sono vendibili. «Il problema oggi è riconosciuto da tutti, ma aspetta da tempo una soluzione ragionevole», conclude la relazio
La procedura
I dubbi sulla trattativa ristretta con almeno 5 imprese sotto la soglia Ue di 5,2 miliardi
ne. Ma evidentemente nei «tutti» non ci sono pezzi importanti della stessa maggioranza.
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Appalti
Se ne parlerà ancora nell’ennesimo vertice di maggioranza a Palazzo Chigi, questa mattina. E non sarà una discussione da poco, perché investe niente meno che gli articoli 1 e 2 della bozza del decreto, che contengono una nuova disciplina transitoria, fino al 31 luglio 2021, degli appalti pubblici, al fine di velocizzare gli investimenti in opere pubappaltanti bliche, decisivi per ridare slancio all’economia dopo la crisi da coronavirus. Inizialmente, nella maggioranza, si sono confrontate due impostazioni: quella del Movimento 5 Stelle, che puntava al superamento del codice degli appalti e al commissariamento diffuso sul modello adottato per la ricostruzione del ponte di Genova e quella del Pd, contrario allo smantellamento del codice come ai commissari ovunque.
Il compromesso sembrava trovato su una sostanziale liberalizzazione degli affidamenti per i lavori fino alla soglia europea (5,2 miliardi di euro) e sui poteri derogatori affidati alle amministrazioni piuttosto che ai commissari ad hoc, riservati solo a poche grandi opere. Che però verrebbero individuate con Dpcm, cioè con decreti dello stesso Conte, e questo non piace al Pd che ci vede un tentativo surrettizio di reimporre il modello Genova. Questa parte del decreto, inoltre, subisce forti critiche sia delle imprese sia dei sindacati, che non lasciano indifferente il Pd.
In particolare, l’idea della trattativa ristretta con almeno 5 imprese per i lavori sotto la soglia Ue non piace. «Bisogna garantire la possibilità a più imprese di partecipare a una gara per garantire i necessari criteri di trasparenza», dice il presidente dell’ance, Gabriele Buia. Secondo i costruttori, i ritardi nella realizzazione delle opere non dipendono dalle gare d’appalto, ma dalle fasi precedenti della progettazione e delle autorizzazioni. E anche Cgil, Cisl e Uil chiedono, tra l’altro, «semplificazioni ante-gara», «un’unica autorizzazione per l’avvio dei lavori (che ora possono arrivare a 40)» e di «evitare l’affidamento diretto dei lavori».
3 Abuso d’ufficio
E c’è discussione anche sugli articoli 15 e 17 della bozza che riformano rispettivamente la responsabilità per danno erariale e il reato di abuso d’ufficio. Norme sulle quali si è impegnato lo stesso Conte, per superare il problema dello «sciopero della firma» che paralizza molti funzionari, spaventati dal rischio di inchieste della magistratura e richieste di danni della Corte dei Conti. Per questo la responsabilità erariale verrebbe limitata ai soli casi di dolo mentre l’abuso d’ufficio alle fattispecie normative che non prevedono margini di discrezionalità.
Troppo poco per chi, come Italia viva, vorrebbe norme più coraggiose.