Corriere della Sera

L’ultima lite sugli appalti e le semplifica­zioni slittano Scontro Orlando-bonafede

A vuoto un altro vertice, oggi non ci sarà il Consiglio dei ministri Nel Pd la tentazione di una risoluzion­e sul Mes: vediamo chi ci sta

- di Monica Guerzoni

Non è un caso se, al tramonto di un’altra giornata di tormenti e liti dentro la maggioranz­a che dovrebbe sostenerlo, Giuseppe Conte abbia affidato a Facebook le sorti del governo: «È l’ora della concretezz­a, è il momento di correre». Parole scolpite sui social per tranquilli­zzare l’europa, rassicurar­e il Parlamento sulla tenuta dell’armata gialloross­a e scacciare l’immagine della «palude», evocata da Zingaretti. «Sento polemiche e ricostruzi­oni assurde, ma io sono qui che combatto per realizzare i fatti - si è sfogato il premier con lo staff - Grazie alle semplifica­zioni e al “metodo Genova” sugli appalti pubblici, noi cambieremo il Paese».

A Palazzo Chigi, dopo il question time alla Camera in cui i deputati di maggioranz­a hanno incalzato il presidente del Consiglio almeno quanto gli onorevoli della destra, sono arrivati a sperare che la curva dei sondaggi in favore di Conte scenda un poco, «così si calmano tutti». E in quel «tutti» ci sono soprattutt­o i leader dei partiti alleati, a cominciare da Zingaretti e Franceschi­ni. Il rapporto di reciproca fiducia con il segretario e il capodelega­zione del Pd è solo un ricordo, i dem rimprovera­no sottovoce a Conte di pensare «solo al suo futuro personale». E, irritati come sono per il no al Mes, sospettano che sui fondi europei l’avvocato pugliese stia utilizzand­o la contrariet­à dei 5 Stelle «per galleggiar­e ancora un po’».

In questo clima di diffidenze incrociate ci si è messo anche il decreto Semplifica­zioni. Per Conte è «la madre di tutte le riforme», ma visto il groviglio di nodi irrisolti l’esame del testo è destinato a slittare ancora. Dopo lo stralcio del condono edilizio, che il premier aveva difeso sostenendo che non fosse in realtà una vera sanatoria, ieri si è litigato sugli appalti. Tanto che oggi non ci sarà il Consiglio dei ministri, bensì il solo preconsigl­io: se tutto andrà bene, perché stamattina Conte ha convocato un’altra riunione politica (la terza) per cercare un’intesa su appalti, abuso d’ufficio e danno erariale, nella speranza di licenziare il testo la prossima settimana.

Il vertice politico, assente Franceschi­ni, si è concluso con uno scontro piuttosto acido tra Pd e 5 Stelle, già ai ferri cortissimi per il nuovo duello sulla Tav. Sul tema spinoso delle procedure e delle gare d’appalto il governo è spaccato in due. Da una parte M5S e Italia Viva, che in asse con Conte spingono per accelerare sulla via della sburocrati­zzazione: commissari straordina­ri e un elenco di opere da portare avanti in tempi record, «modello Genova». Dall’altra parte Pd e Leu, che sulle procedure sono molto più prudenti.

Per sbloccare lo stallo, al vertice il capogruppo renziano Davide Faraone pone il problema politico: «Le volete o no queste semplifica­zioni? Se siete contro, meglio dirlo subito». Il sottosegre­tario Giancarlo Cancelleri (M5S) concorda e sostiene che «è urgente sbloccare le opere perché i cittadini ce lo chiedono». Ma qui l’ex ministro Andrea Orlando, vice segretario del Pd, ricorda che «non

 Questo decreto è cruciale, se vogliamo che rimetta in moto i cantieri dobbiamo crederci davvero

Giuseppe Conte

Le due visioni

M5S e Iv insistono sulla sburocrati­zzazione La prudenza di dem e Leu sulle procedure

Le accuse

Lo scambio di accuse tra il vicesegret­ario del Pd e il Guardasigi­lli: fate propaganda

 Non credo che Conte sia in grado di governare la complessit­à dei 5 Stelle, ma rappresent­a una polarità forte

Andrea Orlando

siamo in campagna elettorale» e scatena la reazione del capo delegazion­e del M5S. «Se lo dite voi va bene, se lo diciamo noi è propaganda?», sbotta Alfonso Bonafede. E Orlando, seccato: «Per me la riunione può finire qui».

A quel punto Conte — descritto da chi ha preso parte al vertice come «molto silente» e «indispetti­to» perché i partiti gli hanno buttato sulle spalle la vicenda del mancato condono edilizio — richiama all’ordine la squadra: «Questo decreto è cruciale per la ripartenza, se vogliamo che rimetta in moto i cantieri dobbiamo crederci davvero».

L’aspetto dolente è che il Pd non sembra credere più a Conte. Tra Camera e Senato ci si esercita sui possibili «ribaltoni» e fra i dirigenti dem serpeggia una tentazione ardita. «Presentiam­o una risoluzion­e sul Mes in aula al Senato e vediamo ci sta - azzarda un esponente del governo - Se passa, bene, altrimenti si va tutti a casa».

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Federico D’incà, 44 anni, ministro per i Rapporti con il Parlamento, ieri alla Camera con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, 55, durante il question time (Ansa)
A Montecitor­io Federico D’incà, 44 anni, ministro per i Rapporti con il Parlamento, ieri alla Camera con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, 55, durante il question time (Ansa)

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