Corriere della Sera

L’ex primo presidente di Cassazione Lupo: cambiai discorso, avrebbe violato un segreto

- di Virginia Piccolillo

«Si aspetta la morte di una persona per tirar fuori sue dichiarazi­oni di cui non potrà più rendere conto. Siamo all’inciviltà più totale». Ernesto Lupo, 82 anni, fu primo presidente della Cassazione dal 2010 al 12 maggio 2013. Tre mesi prima che Silvio Berlusconi venisse condannato dalla Suprema Corte per frode fiscale, andò in pensione. Nel giugno, il presidente Giorgio Napolitano lo volle consiglier­e per gli Affari di giustizia. Era al Quirinale quando Amedeo Franco, relatore pentito della sentenza Mediaset, non sapendo di essere registrato dallo staff di Berlusconi si lamentò col Cavaliere della sentenza «porcheria» e del collega, al Quirinale, che non aveva voluto ascoltare il suo turbamento. Ed è «molto seccato».

Di che cosa?

«Mi trovo in seria difficoltà. Perché non posso dire nulla».

Perché?

«Perché Amedeo Franco è morto. E non posso più fornire il riscontro a ciò che dico».

Ma è vero che Franco la chiamò per lamentarsi della «condanna a priori»?

«Telefonava per tutt’altro».

Ovvero?

«Si lamentava che il Csm non voleva promuoverl­o presidente di sezione e chiedeva a me, che avevo lavorato con lui per 5 anni, di testimonia­re che era tecnicamen­te preparato».

E lo era?

«Molto. Lavorava tanto e bene. Era preciso, pignolo».

Nella registrazi­one si sente invece Franco riferire a Berlusconi che tentò di dirle che la sentenza era una «porcheria», ma lei lasciò cadere. E’ così?

«Sì. Ma c’è un motivo».

Quale?

«La camera di consiglio è segreta. Sarebbe stata una scorrettez­za grave per lui violare quel segreto e anche per me se lo avessi indotto a farlo. E la mia correttezz­a è famosa.

Per questo cambiavo argomento e tornavo sul motivo delle chiamate ripetute: la sua promozione. Non per sviare».

Assegnò lei il processo alla sezione feriale?

«No, avevo già lasciato il mio posto a Santacroce».

Si meravigliò di quella scelta che secondo Franco fu voluta «dall’alto» per sottrarre Berlusconi al suo giudice, la terza sezione penale?

«No, i processi per cui la prescrizio­ne è imminente si assegnano sempre alla sezione feriale».

La registrazi­one Incivile tirare fuori queste dichiarazi­oni dopo la sua morte Non può renderne conto

Ma non è affidata agli ultimi arrivati, «ragazzini», come diceva Franco?

«Dipende. Cambia di anno in anno. Può essere che in quell’anno lo fosse. Io avevo lasciato e non sono in grado di dire chi vi partecipas­se».

Non fu lei a suggerirlo, come sostiene Berlusconi in quel colloquio?

«Addirittur­a? (ride) Questa è davvero è una barzellett­a! E come? A maggio, quando ci fu l’assegnazio­ne, ero a casa pensionato. Non avevo più contatti. Non avevo neanche un ufficio. Al Quirinale venni chiamato a giugno».

Franco ipotizza che fu «riaperto tutto e cambiata la sentenza». È possibile?

«Che significa? Il collegio si riunisce lì e decide. Dovrei sentire esattament­e il testo. Ma se lui non era d’accordo avrebbe potuto non firmare la sentenza».

Dice anche che il presidente Napolitano sapeva che quella sentenza era «una porcheria». È così?

«Con me non ha mai usato quel termine. Franco diceva che stava male per le polemiche sulla decisione. Comunque con il presidente non abbiamo mai parlato della sentenza. Seguivamo quello che succedeva. Era un fatto politico importante. Poi il professor Coppi mi telefonò per parlare della possibilit­à di grazia e della sua procedura. Dissi che bisognava esaminare la domanda. Non mi ricordo nemmeno se fu presentata».

C’è chi ritiene il colloquio con Berlusconi un’anomalia. Lei?

«E certo! Non è che il giudice parla con l’imputato, sia pure dopo la sentenza, e dice che quella che ha firmato è una schifezza. Se Franco fosse vivo, io per primo lo interpelle­rei su questo. Invece mi è impedito dalla tardività delle rivelazion­i. Una cosa veramente assurda».

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Servizi sociali Silvio Berlusconi nel 2014 a Cesano Boscone (Milano), all’istituto Sacra famiglia, per l’affidament­o ai servizi sociali

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