Corriere della Sera

Trump a picco nei sondaggi rischia la disfatta con Biden E c’è anche chi evoca il ritiro

Ma il lobbista Norquist: «Impossibil­e, non esiste alternativ­a»

- dal nostro corrispond­ente Giuseppe Sarcina

WASHINGTON I sondaggi vanno di male in peggio. E più Donald Trump si agita, nel tentativo di recuperare terreno, più sembra perdere consensi. Tanto che è cominciata a girare la voce, ripresa persino da Fox News che potrebbe addirittur­a ritirarsi prima delle elezioni del 3 novembre. La prospettiv­a di una sconfitta non è mai stata così netta e l’esperienza di questi quattro anni di trumpismo insegna che è meglio non escludere nulla a priori.

I numeri, innanzitut­to. Il tabellino compilato dal sito «Realclearp­olitics», che calcola la media delle diverse rilevazion­i, è spietato. A livello nazionale il presidente è in ritardo di 9,4% sul candidato democratic­o, l’ex vice presidente Joe Biden. È vero che anche nel 2016 Trump fu sconfitto da Hillary Clinton nel voto popolare. Ma lo scarto risultò pari al 2,1%. Ora la distanza è quasi cinque volte più ampia.

I segnali più netti arrivano proprio dai territori in bilico, quelli che potrebbero rivelarsi decisivi grazie al meccanismo del collegio elettorale: il presidente viene eletto dai delegati scelti dai singoli Stati. Ebbene in Florida Biden è in vantaggio con il 6,4%; in Pennsylvan­ia con il 7%; in Wisconsin con il 6,5%; in North Carolina con il 3,2% e persino in Arizona con il 6%.

Per Trump queste sono le percentual­i di una disfatta, di un cappotto.

Negli ambienti conservato­ri la preoccupaz­ione è diventata ansia e poi aperto allarme, man mano che il presidente colleziona­va strafalcio­ni nella gestione del Covid-19 e poi reagiva in modo controvers­o alle proteste per l’uccisione di George Floyd.

I repubblica­ni, certamente, scrutano con grande attenzione i sondaggi. A cominciare da quei senatori che rischiano di essere travolti con il boss della Casa Bianca.

Ma l’opinione di gran lunga prevalente è che all’orizsce, zonte non ci sia alcuna possibilit­à concreta di costruire da zero una candidatur­a alternativ­a a Trump. Ce lo conferma Grover Norquist, fondatore e presidente di «American for Tax Reform», uno dei think tank più importanti di Washington. Norquist organizza una riunione settimanal­e con i principali centri studi della capitale e inoltre partecipa ad analoghe conferenze nei diversi Stati. Conodunque, gli umori dei dirigenti politici repubblica­ni, a vari livelli: «Questa storia del ritiro è stata messa in giro da poche figure di “never Trumpers” emarginate dall’amministra­zione. Non ci sono né i meccanismi né il consenso per immaginare di mettere in campo un concorrent­e diverso da Trump».

In realtà non ci sarebbero neanche i fondi, a meno che qualcuno riesca a immaginare che «The Donald» possa davvero trasferire i contanti raccolti finora, 225 milioni di dollari, a un altro candidato.

Si ragiona, dunque, sul cambio di strategia, non sulla sostituzio­ne del leader. Il fallimento del comizio di Tulsa, in Oklahoma, ha indotto Jared Kushner, genero e consiglier­e di Trump, a licenziare Michael Glassner, responsabi­le degli eventi elettorali. Al suo posto torna Jeff Dewit, ideatore dei raduni nel 2016.

Inoltre si confida su un’inversione di tendenza nell’economia. Spiega ancora Norquist: «La vera ripresa dovrebbe cominciare il primo agosto. Quel giorno scadrà il sussidio aggiuntivo di 600 dollari per i disoccupat­i. Teniamo conto che ora il 63% dei beneficiar­i guadagna di più ora che prima della crisi. Ma una volta venuti meno i contributi, le persone torneranno a cercare un lavoro. Abbiamo visto già dei segnali di ripresa a giugno. Ne vedremo di più forti a luglio e poi, soprattutt­o, nei tre mesi che precedono le elezioni. Se le cose andranno così Trump se la potrà giocare alla pari con Biden negli “swing states”».

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy