Corriere della Sera

APPALTI E SEMPLIFICA­ZIONI SE COPIANDO SI PUÒ IMPARARE A FARE MEGLIO

- di Alberto Mingardi

Pare che le «semplifica­zioni» riguardino in buona sostanza le gare d’appalto. Il governo vorrebbe farne a meno: procedendo per affidament­o diretto per le opere fino ai 150 mila euro e interpella­ndo un massimo di cinque imprese fino ai 5 milioni. Solo oltre quella cifra rimarrebbe la gara. Se il governo che governa meglio è quello che governa in fretta, in Italia la percezione è che per realizzare in tempi certi le opere pubbliche si possa solo derogare a tutte le norme. Il problema sta nelle procedure di affidament­o? Sembrerebb­e di no: la fase di progettazi­one degli interventi è quella che richiede più tempo in tutti gli ambiti, dai servizi idrici ai trasporti all’edilizia pubblica. Invece è sicuro che limitare le procedure competitiv­e significa esaltare il potere del decisore pro tempore. Al beneficio ipotetico di tempi più brevi, corrispond­e la certezza di privilegia­re chi ha già lavorato per un certo ente e penalizzar­e i nuovi entranti. Ciò può avere effetti sia sui prezzi che sulla qualità del servizio. I prezzi si abbassano quando arriva un nuovo concorrent­e, che prova a spiazzare chi ha il vantaggio dell’esperienza offrendo condizioni migliori. La qualità cresce attraverso l’innovazion­e e l’innovazion­e è qualcosa che «accade» solo quando più persone e più imprese possono tentare di risolvere lo stesso problema, ciascuna a suo modo. È chiaro che gli appalti rappresent­ano un mercato particolar­e. Lo Stato è un consumator­e particolar­e. Ma particolar­e è anche l’investitor­e, il contribuen­te. Trasparenz­a e concorrenz­a tutelano i suoi quattrini.

Ci sono Paesi europei che hanno tempi di realizzazi­one delle infrastrut­ture più bassi che da noi. Eppure fanno le gare anche loro. Spesso per fare delle buone riforme non serve avere un pensiero straordina­riamente originale. È meglio copiare, e imparare, da chi fa meglio di noi.

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