APPALTI E SEMPLIFICAZIONI SE COPIANDO SI PUÒ IMPARARE A FARE MEGLIO
Pare che le «semplificazioni» riguardino in buona sostanza le gare d’appalto. Il governo vorrebbe farne a meno: procedendo per affidamento diretto per le opere fino ai 150 mila euro e interpellando un massimo di cinque imprese fino ai 5 milioni. Solo oltre quella cifra rimarrebbe la gara. Se il governo che governa meglio è quello che governa in fretta, in Italia la percezione è che per realizzare in tempi certi le opere pubbliche si possa solo derogare a tutte le norme. Il problema sta nelle procedure di affidamento? Sembrerebbe di no: la fase di progettazione degli interventi è quella che richiede più tempo in tutti gli ambiti, dai servizi idrici ai trasporti all’edilizia pubblica. Invece è sicuro che limitare le procedure competitive significa esaltare il potere del decisore pro tempore. Al beneficio ipotetico di tempi più brevi, corrisponde la certezza di privilegiare chi ha già lavorato per un certo ente e penalizzare i nuovi entranti. Ciò può avere effetti sia sui prezzi che sulla qualità del servizio. I prezzi si abbassano quando arriva un nuovo concorrente, che prova a spiazzare chi ha il vantaggio dell’esperienza offrendo condizioni migliori. La qualità cresce attraverso l’innovazione e l’innovazione è qualcosa che «accade» solo quando più persone e più imprese possono tentare di risolvere lo stesso problema, ciascuna a suo modo. È chiaro che gli appalti rappresentano un mercato particolare. Lo Stato è un consumatore particolare. Ma particolare è anche l’investitore, il contribuente. Trasparenza e concorrenza tutelano i suoi quattrini.
Ci sono Paesi europei che hanno tempi di realizzazione delle infrastrutture più bassi che da noi. Eppure fanno le gare anche loro. Spesso per fare delle buone riforme non serve avere un pensiero straordinariamente originale. È meglio copiare, e imparare, da chi fa meglio di noi.
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