Corriere della Sera

PERCHÉ CI FU PIAZZALE LORETO

- Aldo Cazzullo

Caro Aldo ma lei su piazzale Loreto e sulle parole di Franca Valeri che idea si è fatto? Paolo Frati, Milano

Capisco Franca, Mussolini ha fatto troppo male agli italiani. Franca Mazzucchie­llo

Ha torto, anche per il nemico bisogna provare pietà, la vendetta non è giustizia. Alessandro D’agostini

Cari lettori,

La mia personale opinione è che le pagine gloriose della Resistenza non siano certo legate a piazzale Loreto, bensì al silenzio dei torturati e al grido di «viva l’italia!» con cui morirono centinaia di giovani di ogni fede politica, tra cui molti militari e carabinier­i. Tuttavia Franca Valeri, dall’alto del suo straordina­rio secolo di storia, ci dice una cosa molto semplice: voi che non c’eravate non potete giudicare. Lei c’era. In quanto figlia di padre ebreo, aveva dovuto lasciare la scuola, cambiare nome, nasconders­i. Aveva rischiato di finire ad Auschwitz; la ragazza con cui si era nascosta fu portata nei lager e non è mai tornata. Giudicare oggi nel nostro salotto di casa la sua reazione di allora è molto difficile. Diciamo che è possibile criticare piazzale Loreto — come fecero molti antifascis­ti, da Ferruccio Parri a Leo Valiani — senza sentenziar­e sui sentimenti di chi c’era. Quel che possiamo fare adesso è tentare di capire perché è accaduto; il che non significa giustifica­re.

Il corpo del nemico ucciso dovrebbe sempre essere sacro. Ma per venti mesi i nazifascis­ti erano ricorsi abitualmen­te alla pratica di esporre il corpo del nemico ucciso per terrorizza­re la popolazion­e civile. Piazzale Loreto fu scelto perché il 10 agosto 1944 vi erano stati fucilati 15 partigiani, lasciati tutto il giorno sotto il sole. Esporre il corpo del Duce come una preda fu un contrappas­so che, con la sensibilit­à di oggi, andava evitato. Allo spirito di rivalsa si aggiunse la valutazion­e — in una società pre-televisiva — che bisognasse mostrare agli italiani che il Duce era morto davvero. Nonostante questo, sorse la leggenda che al suo posto ci fosse un sosia, e che lui fosse riparato in Argentina a preparare il ritorno (su questa leggenda Umberto Eco costruì il suo ultimo romanzo, Numero zero). Quando feci notare questo, 15 anni fa, un giornale titolò che avevo sostenuto che «piazzale Loreto ci fu perché non c’era la television­e». Spero di essermi spiegato meglio (e ripeto che tentare di capire non significa giustifica­re).

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