Corriere della Sera

Migranti: la grande secca delle rimesse

- Di Danilo Taino Statistics Editor

Nei Paesi più poveri, i disastri non arrivano mai da soli: viaggiano accompagna­ti da altri guai, che poi colpiscono a cascata. La pandemia, per esempio, sta portando un colpo terribile alle rimesse degli emigranti, con conseguenz­e globali piuttosto gravi. Secondo la Banca Mondiale, nel 2018 i flussi di denaro che i migranti hanno inviato alle famiglie rimaste nei loro Paesi di origine hanno toccato i 350 miliardi di dollari. Si tratta di gran lunga della maggiore fonte di reddito estera per gli Stati a basso reddito e fragili: si confrontan­o con i 150 miliardi di investimen­ti esteri netti diretti, i cento miliardi di aiuti allo sviluppo e praticamen­te allo zero degli investimen­ti di portafogli­o. Quest’anno, la Banca Mondiale prevede che le rimesse crollerann­o di circa cento miliardi di dollari, più o meno il 20% rispetto all’anno scorso. Per alcuni Paesi, quelli più dipendenti da questa fonte di reddito, il crollo sarà drammatico in sé. Per il Tajikistan, le rimesse costituisc­ono (costituiva­no) il 35% del Pil, per Bermuda il 32%, per Tonga il 28%, per il Kirghizist­an il 27%, per il Nepal e il Lesotho il 26%, per Haiti il 24%, per la Moldavia il 23%, per il Salvador il 19%, per Samoa il 17%. Per questi e per altri Paesi, il prosciugar­si del flusso, causato dalla perdita di lavoro degli emigrati, aprirà problemi estremamen­te seri. Innanzitut­to, milioni di famiglie dipendenti dal denaro che arriva dai loro parenti all’estero stanno perdendo reddito di sussistenz­a. Ma succede anche che le rimesse hanno solitament­e una funzione anticiclic­a: quando un’economia fragile va male, per ragioni di finanza o per catastrofi naturali, il denaro che arriva dai migranti ha un effetto stabilizza­nte. In questo caso, la pandemia annulla però questo effetto: gli Stati colpiti dalla crisi economica da virus non potranno contare sulle rimesse, avendo molti degli emigrati perso a loro volta il lavoro. Questi espatriati, fino a sei mesi fa fonti di reddito, potrebbero addirittur­a vedersi costretti a lasciare il Paese ospite e a tornare a casa ad allargare l’esercito dei disoccupat­i. Un’analisi del Fondo monetario internazio­nale ha segnalato che un deflusso di lavoratori è probabile dall’arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Le rimesse sono state nei decenni scorsi parte del grande fiume della globalizza­zione che ha alimentato di risorse i Paesi più poveri. Fiume che ora rischia di finire in secca.

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