No al teatro dei monologhi
Il direttore artistico: il palco può accogliere diversi attori Gigi Proietti: «Riapre al pubblico il Globe di Roma Tutto Shakespeare con i ragazzi dell’accademia»
«Grazie al coronavirus ho imparato a fare le riunioni di lavoro su skype: è stato come imparare a guida’ un missile! Ammetto che io sul web vengo malissimo, tutto storto, e non è colpa del virus, no: so’ proprio io. Ma il teatro non si può fare in smart working».
Infatti, Gigi Proietti riapre al pubblico il Globe Theatre, nel cuore di Villa Borghese, con il consueto repertorio dedicato a Shakespeare. Si comincia a fine luglio con la ripresa di uno spettacolo storico, Sogno di una notte di mezza estate, regia di Riccardo Cavallo; si prosegue fino a metà ottobre con una nuova produzione de La dodicesima notte, regia di Loredana Scaramella; e due poemetti scespiriani, Il ratto di Lucrezia e Venere e Adone, rispettivamente diretti da Daniele Salvo e Marco Carniti. Inoltre, in collaborazione con l’accademia Silvio d’amico, è previsto uno spettacolo con i giovani allievi neodiplomati.
«Non ci limitiamo a fare monologhi — precisa l’attore, direttore artistico —. Il palcoscenico del Globe è enorme e può accogliere più attori contemporaneamente».
E il problema delle distanze di sicurezza?
«Innanzitutto, nessuno recita mai a 5 centimetri dalla bocca dell’altro attore e, se non devi rappresentare una scena di amplesso carnale, il problema non si pone. Anche quando non c’era il Covid-19, se in camerino qualcuno ti starnutiva vicino, gli dicevi stammi lontano, che c’ho la prima!».
E le distanze tra gli spettatori?
«Il Globe è molto particolare. È uno spazio all’aperto, perché non ha tetto, ma ha le pareti dove sono collocati i palchi. In platea non ci sono le sedie e il pubblico si siede per terra. Quando è sold out, si può arrivare a mille e cento persone. Le regole, molto generiche, impongono 200 al chiuso, 1.000 all’aperto. Il Globe è una via di mezzo, ma è dotato di vari ingressi, dove si possono regolare i flussi di accesso. Io voglio rispettare le regole, ma è ‘na parola! Che
Sorriso
Gigi Proietti, attore e regista, è nato a Roma il 2 novembre 1940 dovemo fa’? Come siamo considerati: al chiuso o all’aperto? Credo che ci potrebbero autorizzare a ospitare almeno 5600 persone. Il Globe è un punto di riferimento e sento che in giro c’è tanta voglia di teatro. È una rinascita».
Una rinascita legata ai giovani dell’accademia?
«Non amo fare retorica e non ho la mistica del giovane in quanto tale, però mi pare indicativo dare a dei ragazzi, che nascono alla professione dell’attore, tutt’altro che facile, la possibilità di trovarsi davanti a un pubblico vero, contribuendo alla rinascita di un teatro. Chi meglio di loro? Il teatro ha bisogno di giovani risorse e di risorse finanziarie. Faccio mia la richiesta di Eduardo De Filippo: detassarlo, perché non è un business. Ma i politici, non assidui frequentatori delle sale, non sono molto sensibili al problema».
A proposito di rinascita, lei partecipa anche a quella del Foro di Traiano, che il primo agosto si riapre allo spettacolo dal vivo con un evento speciale.
«Sarò la voce recitante dell’adattamento teatrale di un celebre film di Gigi Magni: Scipione, detto anche l’africano. Un progetto ambizioso, ideato da Stefano Reali e Massimo Ghini, che ne sarà protagonista con Serena Autieri, Antonello Fassari, Francesco Pannofino, Rodolfo Laganà e Massimo Wertmüller. Magni aveva un caratteraccio ma è stato mio grande amico e ho tanti divertenti ricordi con lui».
Il nostro mondo ha bisogno di risorse finanziarie Faccio mia la richiesta di Eduardo De Filippo: detassiamo perché non è un business
Ce li racconti.
«Andavamo a cantare insieme in un piano bar romano. Ci riusciva molto bene un brano, Prigioniero di un sogno di Claudio Villa, e pensammo di farne il titolo di un nostro LP, dove sulla copertina eravamo ritratti noi due dietro le sbarre. E poi ricordo una delle sue celebri battute. Durante le contestazioni fatte dagli extra parlamentari, la domanda ripetuta era: come si fa ad andare verso il popolo? E lui rispondeva: fai tutta via del Corso e, come si dice a Roma, se vedemo ar popolo, cioè piazza del Popolo».
Qual è la domanda, invece, che lei si è posto maggiormente durante i mesi del lockdown?
«Durante l’emergenza ne veniva spesso ripetuta una: ci cambierà il virus? E io mi chiedevo: perché ce deve cambia’ il virus, cambiamo noi! All’inizio, gli italiani mi hanno stupito: hanno rispettato le regole sanitarie, poi tutto è tornato come prima. Magari cambiassimo davvero!».