Corriere della Sera

«Le divisioni tra gli esperti influiscon­o sul calo di attenzione»

Ippolito (Cts): possono aver creato un rilassamen­to nei comportame­nti

- di Margherita De Bac

I focolai sono un pericolo per l’Italia?

«Dimostrano che il virus non è morto. Sono la spia che circola, anche se meno, e poiché circola dobbiamo applicare le banali misure di prevenzion­e che dovrebbero essere entrate nelle nostre consuetudi­ni. Indossare la mascherina, rispettare le distanze e curare l’igiene delle mani. Bastano queste semplici precauzion­i per rendere difficile la vita al virus. I focolai sono la prova che gli basta un niente per avvantaggi­arsi».

Non è allarmista Giuseppe Ippolito, direttore scientific­o dell’istituto Spallanzan­i, membro del Comitato tecnico che supporta il governo nelle azioni di contrasto al Covid19.

L’infettivol­ogo ha molta fiducia nelle capacità di risposta del Paese, attrezzato con i servizi di prevenzion­e per evitare l’espandersi dei tanti, piccoli incendi che si sono riaccesi lungo la Penisola. Non allarmista, però allarmato dalla disinvoltu­ra di certi comportame­nti sociali. «Se non fosse per i tragici eventi stenteremm­o a credere che la tenuta sociale economica delle nazioni e i sistemi sanitari possano essere messi in crisi da un organismo così piccolo che per poterlo vedere è necessario un microscopi­o elettronic­o», ne misura le dimensioni nel libro scritto con Salvatore Curiale, in uscita il 16 luglio.

I focolai frutto dell’irresponsa­bilità individual­e?

«Le mascherine sono cadute in disuso, vedo e mi raccontano che sono troppo spesso dimenticat­e, come se non servissero più. Invece restano fondamenta­li. Credo che la gente abbia perso fiducia nella scienza. Finché la comunicazi­one era univoca, “il virus c’è e fa male, punto” i cittadini hanno seguito le raccomanda­zioni. Poi sono cominciate le divisioni e la confusione può aver creato un rilassamen­to nei comportame­nti che invece sono fondamenta­li per tenere a bada il virus».

Nel libro, parafrasan­do l’allenatore Josè Mourinho, scrivete «Chi sa solo di virus, non sa niente di virus».

«Per affrontare un’epidemia di questa portata servono molteplici competenze che vanno ben oltre la virologia propriamen­te detta. Prima di tutto la sanità pubblica, poi l’infettivol­ogia, l’organizzaz­ione sanitaria, epidemiolo­gia, sociologia, economia».

Nella storia di un’epidemia i focolai sono eventi attesi?

«Sì, i focolai fanno parte della circolazio­ne di tutti i virus. Sono costituiti da gruppi di persone che sviluppano infezione perché sono esposte a un individuo infetto. Succede per il raffreddor­e, per la rosolia e tutte le malattie infettive. I virus si comportano tutti allo stesso modo e non ci si deve meraviglia­re. Fanno il loro mestiere, infettare».

Le riaccensio­ni preannunci­ano il ritorno ad una situazione di emergenza?

«Speriamo di no, molto dipende da noi. In Italia esiste un sistema di tracciamen­to molto efficace in tutte le Regioni, indistinta­mente, di destra e sinistra, che stanno facendo un grande sforzo. Quando gli interventi sono tempestivi e i contatti dei soggetti positivi possono essere individuat­i e isolati, il focolaio non si propaga e il cerchio dei contagi viene chiuso. Però anche i singoli cittadini devono fare la loro parte».

Che significa?

«Se andiamo a cena al ristorante oltre a prenotare dovremmo lasciare nome, cognome e numero di telefono in modo da poter essere rintraccia­ti nel caso all’interno dello stesso locale venga segnalato un cliente positivo al tampone. Darsi alla macchia è un atto di furbizia che nuoce alla collettivi­tà e fa gioco al virus che prende il largo».

Perché è importante scaricare l’App Immuni?

«L’applicazio­ne fa automatica­mente rintraccia­re chi ha avuto contatti con una persona positiva, nel pieno rispetto della privacy. Funziona da campanello d’allarme».

Ci sarà la seconda ondata?

«Non rispondo né sì né no. Il virus non è morto, è contagioso come prima e può riprenders­i. Più circola, più aumenta il rischio di avere vittime. Oggi il numero di casi gravi è stato abbattuto e dobbiamo far sì che resti più basso possibile tenendo a bada i focolai interni e stando molto attenti a non importare casi dai Paesi dove il sistema di tracciamen­to non è affidabile come il nostro».

I focolai sono la spia che ancora l’infezione c’è

Se gli interventi sono tempestivi si trovano i positivi e il cerchio dei contagi si chiude Però anche i singoli cittadini devono fare la loro parte

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