L’armonia della libertà
Una carriera da Bach a Morandi. Il rimpianto di non aver collaborato con Kubrick
Ovunque nel mondo oggi lo ringraziano.
La musica di Ennio Morricone è nelle orecchie di ogni cittadino del mondo. In questo senso, privilegio di chi produce bellezza, la sua vita è consegnata ad una meravigliosa immortalità. Ennio aveva una sensibilità straordinaria nel mettere in armonia le immagini della storia che il regista aveva scelto di raccontare con le note prodotte dalla sua immensa cultura musicale. Aveva studiato con Petrassi e poi aveva lavorato con Edoardo Vianello per «Le pinne, i fucili, gli occhiali» o con Gianni Morandi per «In ginocchio da te». Si deve a lui l’arrangiamento che ha contribuito a rendere eterna la melodia di «Sapore di sale» di Gino Paoli.
«Alto e basso» convivevano perfettamente, in un genio come Ennio Morricone. Ora, mentre scrivo, mi vengono alla mente, come in un montaggio rapido, le immagini dei film che lui ha reso più belli. Anche quelli che ora si fa più fatica a ricordare: L’assoluto naturale, Metti una sera a cena o La Califfa. C’erano Bach, Stravinskij, Pierluigi da Palestrina nella sua incredibile capacità di essere in sintonia con la storia, i personaggi, le atmosfere dei film che doveva musicare. Si pensi al modo in cui rese la tensione del
racconto di Battaglia di Algeri, all’aria di intrigo di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto o a come seppe descrivere i ritmi lenti e gli spazi grandi di C’era una volta il West. Ecco, Sergio Leone.
Recentemente in una strana formazione — Ennio, io, Giovanni Malagò e Francesco Totti — siamo stati a vedere la mostra dedicata a quel genio del nostro cinema colto e popolare. In un angolo c’era la fotografia di una classe di una scuola elementare. In quell’immagine, insieme, c’erano Sergio Leone e Ennio Morricone. Del suo rapporto con il regista di Giù la testa Ennio disse, nel bellissimo libro intervista con Giuseppe Tornatore: «Da un certo punto in poi, la musica l’ha voluta prima di girare, ed è stata una buona abitudine». La musica non come illustrazione delle immagini, ma come agente vivo della creazione.
Quell’inversione del rapporto tra «prima» e «dopo» è la testimonianza della bellezza «autonoma» della musica di Ennio. Io non smetto di ascoltare la colonna sonora di C’era una volta in America o quella di Novecento di Bernardo Bertolucci che attinse alla dimensione nazionale e popolare della musica di Morricone per rendere ancora più bella e intensa la grande saga delle famiglie Berlinghieri e Dalcò, una di possidenti e l’altra di braccianti. Una storia del novecento italiano. Ennio era l’uomo giusto. Aveva dentro di sé la nostra grande tradizione musicale, compresa quella dell’opera e coltivava come pochi il senso dell’epico e la ricerca della semplicità. Anche attraverso la valorizzazione di strumenti che erano, insieme, narrativi e musicali: l’armonica, l’oboe...
Morricone ha lavorato molto con Giuseppe Tornatore e il suo Love Theme di Nuovo Cinema Paradiso è entrato a buon diritto tra i brani più conosciuti della musica contemporanea. Pat Metheny ne incise una versione bellissima. Ma Ennio è anche l’autore di «Here’s to you» la canzone eseguita da Joan Baez che compare nel film di Giuliano Montaldo Sacco e Vanzetti e che, per anni, fu cantata a squarciagola nei cinema o nelle piazze dai giovani di tutto il mondo.
Ennio ha lavorato con Brian de Palma — memorabili le musiche di Gli intoccabili — con Ronald Joffé —
Mission — Terrence Malick, Don Siegel e Quentin Tarantino, grazie al quale vinse, per
The Hateful Eight l’Oscar. Premio che lo aveva onorato ma che Ennio considerava forse meno importante di quello alla carriera che gli era stato assegnato nel 2007.
dMorricone ricordava con rimpianto di non aver potuto collaborare con Stanley Kubrick che lo voleva per Arancia Meccanica. Ma Leone, con il quale stava lavorando in quel periodo, disse in una telefonata all’autore di 2001:
Odissea nello spazio che Morricone era impegnato con lui e quindi non poteva dividersi in due progetti importanti. Legittima gelosia.
Nella conversazione con Tornatore Ennio ricorda un pranzo con Pasolini e Fellini in cui lui raccontò una sua idea per un film. Ascoltiamolo: «L’incipit si svolgeva in un’epoca indefinita, in una città popolata da gente onesta, buona, che crede negli ideali e che non ha un capo, vive in una specie di anarchia costruita sulla bontà e la correttezza di ciascuno verso gli altri. Un giorno un uomo, forse più intelligente degli altri, sostiene che questa falsa pace è alimentata dalla musica, che entra dentro i sentimenti delle persone e sviluppa reazioni imprevedibili, drammatiche, gioiose, positive e negative, reazioni a causa delle quali la città sta perdendo la sua tranquillità. La soluzione è proibire la musica. Tutti sono d’accordo, l’idea è sua, gli altri l’accettano, perciò diventa un capo, senza volerlo diventa capo. Dopodiché si comincia a non modulare la voce, si parla senza l’alto e il basso delle nostre corde vocali. Pian piano le costrizioni aumentano e il capo intanto sta diventando un dittatore...».
Per Ennio, che immaginava questa storia e la raccontava a Pasolini e Fellini — forse ne tenne conto per Prova d’orchestra — la musica era libertà. Quella che gli ha arruffato i pensieri, sotto forma di note, per ogni giorno della sua vita. Quella libertà che è flusso senza limiti e costante ricerca dell’armonia. Disse Ennio, a proposito della fatica della «pagina bianca» che bisogna «andare avanti alla ricerca di tutto, tutto ciò che è possibile e a volte impossibile. Quel pensiero e quel desiderio di osare non devono morire». E infatti non sono morti, con la fine della fatica di Ennio. Una fatica della quale tutti, ovunque nel mondo, oggi lo ringraziano, proprio con un pensiero. Pensiero e desiderio non sono morti, in questo giorno triste. Restano nell’aria.
Liberi e eterni. Come Ennio.
Note invisibili
La musica nel cinema è quello che non si vede e quello che non si dice
Con l’Oscar Ennio Morricone in posa con l’Oscar alla carriera ottenuto nel 2007