LA TERRA DI MEZZO
Un territorio fatto di tanti confini che segnano micromondi. Uno scrittore-viandante racconta la patria dei dialetti e dei nomi plurimi TRA FIUMI, MONTAGNE E MARE IL FRIULI-VENEZIA GIULIA È UN CROCEVIA DI IDENTITÀ
Il viaggiatore che proviene dal Veneto entra in Friuli, scrive Pasolini, per dissolvenza. Se è un viaggiatore sottile, nonostante il paesaggio non sembri mutare, annusa qualcosa nell’aria. È l’odore, aggiunge, di un’area marginale.
Eppure il Friuli Venezia Giulia è fermamente in Europa, per vocazione e per sorte geografica, equidistante tra Lisbona e Mosca, o tra il Baltico di Danzica e il Mediterraneo di Siracusa. Centro e margine, europeo e allo stesso tempo facente parte di un altro continente: quello delle terre di confine.
Sono terre di mezzo, crocevia di genti in cui le identità si affastellano, si scontrano, si abbracciano e sfumano l’una dentro l’altra, in cui capita spesso di chiedersi «chi sono» e più di rado «chi siamo».
Un tempo si scriveva FriuliVenezia Giulia, con il trattino. Una linea forse irrisoria per i forestieri, ma in un luogo che ha esperito a fondo le tragedie del ‘900 la caduta di un trattino è stata quasi la caduta di un confine.
Di linee che dividono ambienti diversi, seppure limitrofi, la regione è piena e subito se ne accorge il viaggiatore che arriva, come quello pasoliniano, in treno da Venezia: varcato il Tagliamento, il re dei fiumi, spettacolo della biodiversità che meriterebbe di diventare patrimonio dell’Unesco, egli si trova nei campi della bassa pianura friulana, a pochi passi dalle farnie e dai carpini del bosco di Muzzana, uno degli ultimi lembi della Silva Lupanica, la foresta di lupi che ricopriva la Pianura Padana.
Alla sua destra ha le lagune di Grado e Marano, la foce dell’Isonzo, zone umide amate dagli uccelli, a sinistra la linea morbida delle risorgive, l’alta pianura, la linea soave di colline dell’anfiteatro morenico, e poi le linee delle montagne selvagge, Dolomiti Friulane, Prealpi Giulie, Alpi Carniche, Alpi Giulie, linee su linee che corrono parallele o si intersecano originando regioni in miniatura in cui si conservano lingue, dialetti e gesti ostinati. Può imbattersi in paesi semidisabitati o in veri borghi fantasma, come quello di Movada, che affiora dalle acque del lago di Redona — una sorta di Atlantide, scrive lo scrittore friulano Mauro Daltin.
Se poi il viaggiatore vuole fare esperienza del confine dei confini deve dirigersi a nordest, esplorare la Val Canale e arrampicarsi sul Monte Forno: Pec in sloveno, Ofen in tedesco, Fuar in friulano, perché qui ogni cosa ha più nomi, nulla va dato per scontato. Può posare le mani sul cippo che segna il punto in cui Austria, Italia e Slovenia si toccano e gettare lo sguardo verso la foresta millenaria di Tarvisio, i suoi abeti rossi che risuonano, legno buono per costruire casse armoniche, alberi che sono già musica, correre a temprarsi nelle acque dei laghi di Fusine e, come un pellegrino, incamminarsi verso il santuario del Monte Lussari.
Da lì, se va a a sud, il mare di Grado è a meno di cento chilometri in linea d’aria ma sembrano mille a farli a piedi. Il primo ostacolo è lo Jôf Fuârt, perla delle Giulie, «la montagna solare» la definisce Julius Kugy, patriarca degli scrittori di montagna. Kugy è il creatore visionario della Via Eterna, la cengia che gira attorno
alla montagna solare senza mai salire in cima, un corridoio sospeso sul vuoto da percorrere in senso antiorario, come se fosse un viaggio a ritroso nel tempo.
Le meraviglie si susseguono senza dare modo di rifiatare: il ghiacciaio del Canin, i canti antichi della Val Resia e ancora più giù attraverso il territorio delle Valli del Torre, una zona colpita duramente dal terremoto del 1976 ma mai doma. Lì può passeggiare con le cascate del Rio Gorgons negli occhi e nelle orecchie i versi di un poeta che da quelle parti è nato e che il Covid si è portato via, Mario Benedetti: Saremo una sera chiara, quasi di primavera, sopra i vasi di menta, / le conche di terra e foglie in più di un bosco.
Il viaggiatore può quindi smarrirsi nei misteri delle Valli del Natisone e, nei pressi del confine, fare come fa una poetessa dei dintorni, Antonella Bukovaz, che a chi le chiede se si senta più slovena o italiana risponde: «io mi sento, molto. Mi identifico con il mio corpo e basta».
Infine può ristorarsi nel Collio fertile dei vini luminosi e poi raccogliersi, fare silenzio prima di addentrarsi nelle trincee del Monte Sabotino, cantare contro ogni guerra O’
Gorizia tu sei maledetta, farsi venire la pelle d’oca, avviarsi pacifico verso il Carso di Trieste. Nelle pietraie, all’ombra dei pini neri, egli può sperare nell’arrivo della bora, può esercitarsi a stare con un piede in Italia e uno in Slovenia, calpestare il confine fino a farlo scomparire e davanti al mare di Muggia finalmente fermarsi, sognare l’Istria, la Dalmazia, i Balcani, l’Est, un altro mondo.
Le meraviglie si susseguono: il ghiacciaio del Canin, i canti antichi della Val Resia