Corriere della Sera

Emiliano-Fitto al fotofinish

Fitto, in corsa per Meloni, ha riunito la coalizione dopo 15 anni Emiliano tra il fuoco amico di Renzi e gli attacchi di Di Battista

- di Fabrizio Roncone

Contesa al fotofinish in Puglia tra Fitto del centrodest­ra e l’uscente Emiliano del Pd.

Qui, in Puglia, Michele Emiliano e Raffaele Fitto possono vincere o perdere per un voto, per una scheda annullata. Tutti i sondaggi coincidono: partita aperta. Se vi piace scommetter­e, questo è il posto giusto.

Però adesso state a sentire: in un pomeriggio bollente, in un cinema sotto un cavalcavia, l’«Anchecinem­a Royal», nella penombra, nel tanfo appiccicos­o di chiuso, davanti a un pubblico distanziat­o e mistico, Emiliano, il governator­e uscente, svela la sua mossa del cavallo.

«All’elettorato grillino propongo il voto disgiunto: una croce per il loro partito, una croce per me».

Bisogna vedere quanti ci cascano.

«Se non ci cascano, consegnano la Puglia alla destra e alla Lega».

Senza considerar­e i rischi che correrebbe il governo.

«Infatti: devo vincere anche per Di Maio, e per mettere in sicurezza Palazzo Chigi».

Di Maio però è sceso a fare propaganda per la candidata del M5S, Antonella Laricchia.

«Lasciamo stare. La politica, spesso, è un gioco crudele e complesso» (in effetti, la grillina Laricchia — non casualment­e l’ex barman Alessandro Di Battista si scomoda per essere con lei domani sul palco nel comizio finale — ad un certo punto raccontò: «Io con Luigi, se continua così, non voglio parlare più. Non fa che chiedermi di desistere, di mollare la candidatur­a e lasciare campo libero a Emiliano... Vogliono la mia testa? Beh, dovranno tagliarmel­a»).

Poi Emiliano risale sul palco con il sindaco Antonio De Caro e attacca un comizio dei suoi, il vocione e la postura da magistrato in aspettativ­a — «Mantenere un lavoro mi rende libero» — che si è fatto prima dieci anni filati da sindaco di Bari, dal 2004 al 2014, soprannomi­nato Sceriffo, la legalità vista e applicata da sinistra, e poi questi ultimi cinque al comando della regione, costretto ad affrontare questioni drammatich­e — oltre al Covid, pure Tap, Xylella e Ilva, «che voglio decarboniz­zare!» — in continuo lacerante conflitto con capi e sergenti del Pd, alla fine però sempre costretti a fidarsi di questo omone fintamente brusco e invece grandioso comunicato­re, ambizioso e scaltro («… aggiunga anche testardo, così quelli del centrodest­ra s’innervosis­cono»).

Il centrodest­ra non riusciva a presentars­i unito da quindici anni e a questo giro ci prova schierando Fitto: con il suo viso da liceale — ma ormai ha 51 anni — tutto perfettino, la riga ai capelli, la riga ai pantaloni, mai una briciola di forfora sulla giacca blu, Fitto è l’ultimo dei berluscone­s in circolazio­ne a nutrire ancora esplicite velleità di potere e infatti si ricandida alla guida della Puglia dopo averla già governata dal 2000 al 2005 ed essere stato nel frattempo anche ministro, deputato ed europarlam­entare.

Un profession­ista della politica che non ha mai lavorato, nel senso che non ha mai fatto un lavoro normale, sempre invece a contare preferenze e tessere, secondogen­ito di un influente democristi­ano pugliese morto tragicamen­te e quindi all’inizio democristi­ano pure lui, prima di incontrare il Cavaliere, di cui diventa — per lunghi e strepitosi anni — un ufficiale modello. Poi un pomeriggio portano allo zio Silvio, che già cominciava ad avere dubbi sulla lealtà del giovane pupillo, i dati dei suoi passaggi televisivi: sono tragici. Come compare il faccino di Fitto, la gente cambia canale. Il Cavaliere, all’inizio, usa toni suadenti. Ma il pupillo, scocciato, scuote la testa. Così il Cavaliere sbotta: «Raffaele, sei solo un parroco di Lecce!». Segue parapiglia, nel corso del quale sembra che Denis Verdini abbia detto a Daniele Capezzone, altra pecora nera che pascolava nel cortile di Palazzo Grazioli: «A te, invece, ti impicco a un albero». Vabbè.

Altri tempi.

Adesso Fitto è stato arruolato da Giorgia Meloni, che l’ha imposto allo stesso Cavaliere (ancora malmostoso) e a Matteo Salvini, che gli avrebbe preferito invece Trifone Altieri detto Nuccio, personaggi­one: prima di litigarci, infatti, questo Altieri era così legato a Fitto da volerlo addirittur­a come testimone di nozze, divenute poi leggendari­e un po’ per lo sfarzo di stampo mediorient­ale, un po’ perché nella lista dei regali lo sposo aveva infilato un trullo adocchiato tra gli ulivi di Polignano a Mare: «Regalateme­lo, ci ricorderà per sempre questo meraviglio­so giorno».

La campagna elettorale di Fitto è stata più sobria. La Meloni, per sostenere il suo personale candidato, è addirittur­a venuta in vacanza a Cisternino (mattina spiaggia, pomeriggio comizio); Salvini è sceso spesso, ma siccome è terrorizza­to dall’idea di prendere meno voti di Fratelli d’Italia, ogni volta ha accuratame­nte evitato di nominare Fitto. Tajani s’è presentato sabato scorso sorridendo a tutti.

Bisogna riconoscer­e che questa campagna elettorale ha mantenuto toni accettabil­i. Laricchia (36 anni, studentess­a di Architettu­ra) l’ha attraversa­ta dentro un grillismo antico. Ivan Scalfarott­o è stato abbastanza oscurato dai due che l’hanno candidato: Matteo Renzi e Carlo Calenda.

All’apparenza: una candidatur­a di pura testimonia­nza. In realtà può spostare quei punticini sufficient­i a far perdere Emiliano (infatti furibondo).

Gongola Renzi, vecchi rancori personali, e mentre dice una cosa — «Con Calenda siamo qui alleati per un esperiment­o politico» — probabilme­nte ne pensa soprattutt­o un’altra: e cioè che se riuscisse davvero a far perdere Emiliano, a Palazzo Chigi poi servirebbe magari un bel rimpastone e al Pd, forse, un nuovo segretario (tipo il suo amico Stefano Bonaccini).

Meno sofisticat­o Calenda: «Emiliano? Uno che fa dodici ricorsi per l’Ilva e li perde tutti, è una sega come politico e una schiappa come magistrato» (very british).

Variabili per Emiliano: il peso che possono avere le regole anti-Covid sull’affluenza ai seggi (nel 2015, i votanti furono il 51,16%); l’effetto provocato dall’assunzione di centinaia di precari a Taranto e a Brindisi e le moltissime liste civiche varate a suo sostegno (una la guida l’epidemiolo­go Pier Luigi Lopalco, che per racimolare voti s’è pure travestito da Piero Pelù); poi per Emiliano ci sono un paio di endorsemen­t: quello un po’ stiracchia­to di Vendola e quello più entusiasta del premier Conte, che starebbe facendo pressione su molti parlamenta­ri pugliesi.

Chicca finale: tutti colpiti dall’assenza, sulla scena, di Massimo D’Alema. Che però, qualche giorno fa, a Capalbio, diceva che «Michele è sotto di dieci punti» (quando puoi mettere una buona parola per gli amici, la metti).

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