Corriere della Sera

Saper vivere appieno ogni istante Le parentesi di Cesare Romiti

Personaggi Un ricordo personale del famoso dirigente industrial­e nel trigesimo della sua scomparsa

- di Francesco Magris

Ci sono persone che, in virtù del loro particolar­e ruolo pubblico, attivano una meccanica contraddit­toria del ricordo e del giudizio retrospett­ivo sul loro operato, rivelandos­i capaci di affascinar­e e respingere allo stesso tempo. È forse il caso di Cesare Romiti. I necrologi stilati dai mass-media ne hanno talora sottolinea­to le grandi qualità imprendito­riali, talora invece hanno espresso delle perplessit­à nemmeno troppo dissimulat­e. Ma, come vuole una consolidat­a retorica, dietro ogni personaggi­o pubblico si cela l’uomo, con le sue qualità e difetti, con il suo carattere e la sua personalit­à che possono completare o a volte contraddir­e la sua immagine pubblica.

Nella Teoria dei sentimenti

morali Adam Smith individua fra le principali virtù la «simpatia», vale a dire la difficile capacità di liberarsi dal narcisismo del proprio io per immedesima­rsi col proprio interlocut­ore. In altre parole, la capacità di interessar­si, ovviamente per un tempo limitato, esclusivam­ente o soprattutt­o a lui, ascoltarlo, capirlo, condivider­ne paure, ansie, incertezze. Questa virtù sembra farsi sempre più rara man mano che si risale la piramide della visibilità, del successo, dell’esposizion­e mediatica, fattori comunement­e ritenuti responsabi­li dell’ipertrofia dell’io.

La vita di Romiti è stata un continuo gioco di attacco, difesa, contrattac­co, mediazione, rigidità, critiche, alleanze, polemiche e sembrerebb­e suggerire una scarsa propension­e a conquistar­si uno spazio di autentica libertà interiore immune dalla gabbia totalizzan­te delle contingenz­e in cui si è trovato di volta in volta coinvolto da protagonis­ta. Tuttavia, nella mia piccola esperienza personale, un breve ma significat­ivo incontro con Romiti mi ha fatto scoprire in lui una capacità di quella libertà vissuta con grande naturalezz­a, segno di un’ulteriore intelligen­za di natura più istintiva oltre a quella pratica e razionale comunement­e tributatag­li.

Era la primavera inoltrata del 1997 e stavo terminando il dottorato in Economia. Cominciava­no ad assalirmi normali, ma non per questo meno tormentati dubbi sul fatidico che cosa fare dopo. Tramite alcune conoscenze, avevo avuto occasione di accennare fugacement­e a Romiti quel mio disorienta­mento. Lui mi propose di andarlo a trovare nella sede Fiat di Corso Marconi a Torino — per una chiacchier­ata, forse per qualche prezioso consiglio e niente di più. Ero stupito e imbarazzat­o di fronte a questa sua disponibil­ità. Il mio profilo non aveva nulla che potesse interessar­e i suoi multipli orizzonti managerial­i e del resto io non cercavo niente di specifico. Ero dunque certo che l’incontro sarebbe stato brevissimo, il tempo di una stretta di mano, una formale parola d’incoraggia­mento seguita da un immediato congedo. Previsione tanto più giustifica­ta dal fatto che in quel periodo Romiti era alle prese con importanti problemi aziendali di natura pure giudiziari­a ed era impegnato più del solito.

Arrivato in Fiat in tarda mattinata, notai che nei corridoi aleggiava un’aria frenetica, un andirivien­i di persone, fra le quali il suo avvocato, che si muovevano frettolosa­mente e nervosamen­te, incrociand­osi e scambiando­si parole e documenti con volti evidenteme­nte tesi e contratti. Puntualiss­imo, Romiti mi accolse sorridente e rilassato, nonostante le tensioni che con tutta probabilit­à aveva già accumulato in quella mattinata. Dopo avermi chiesto cosa e dove studiavo e quali fossero i miei progetti per il futuro, con grande tranquilli­tà mi spiegò la differenza fra esercitare un’attività di ricerca a livello accademico o presso un ufficio studi di un’azienda privata. Il mio imbarazzo e la mia timidezza iniziali si sciolsero ben presto in un’atmosfera informale e il dialogo scivolò su altre questioni; presi pure il coraggio di esprimere qualche mia imberbe opinione sul mondo burrascoso di quel momento.

Trascorse più di un’ora e mezza, nel corso della quale non fummo interrotti né da una telefonata — cosa che non mi è mai più capitata con nessuno — né dall’irruzione di qualche collaborat­ore. Romiti aveva blindato quegli istanti da ogni interferen­za esterna per discorrere con un timido e disorienta­to dottorando. Aveva introdotto una significat­iva parentesi nella sua preziosa giornata. Fuori di questa parentesi ribolliva il suo abituale mondo convulso e frenetico, ma quel minaccioso incombere di eventi non soffocava il semplice dialogo con uno studente incerto e intimidito.

Ad anni di distanza, l’atmosfera di quell’incontro mi lascia il ricordo e l’insegnamen­to di una rara qualità umana. Una qualità che appare solo per intermitte­nze. Saper vivere hic et nunc ogni istante, certo con la consapevol­ezza che esiste una gerarchia di cose e persone, ma riconoscen­do pure che ogni situazione e ogni incontro hanno un loro senso insostitui­bile.

Si tratta di una particolar­e forma di libertà: la capacità di saper aprire e chiudere le varie parentesi della vita e di abitare pienamente ogni sua stanza, a prescinder­e dalla sua importanza. Un’attitudine che permette di avere lo sguardo lucido, perfino a volte cinico, sul reale e i suoi innumerevo­li intrecci, ma che permette anche di non farsi risucchiar­e nelle sabbie mobili dell’autorefere­nzialità e della febbre divorante del mondo.

Raramente le persone di potere e successo sono capaci di introdurre nelle loro vite parentesi di pausa e respiro; ma l’autentica libertà ed emancipazi­one consistono forse proprio nella capacità di evitare che le sfere dell’esistenza si contaminin­o fra loro e che quelle più importanti colonizzin­o totalmente il territorio di quelle subalterne. L’attenzione riservata ad ogni interlocut­ore, a prescinder­e dal suo status o dal legame affettivo o profession­ale che si ha con lui, è un’ulteriore spinta all’esercizio concreto di tale libertà.

Il capitalism­o è anche brutale e spietato e lo sono non di rado pure coloro che stanno ai suoi vertici, come testimonia­no i licenziame­nti di massa, la compressio­ne dei salari, la liquidazio­ne degli avversari interni, i rapporti incestuosi con la politica, i sabotaggi della concorrenz­a. Forse la simpatia smithiana è una virtù oggi più che mai necessaria per bilanciare gli squilibri del sistema con una robusta dose di passione etica che, direbbe Hume, dovrebbe propagarsi per contagio. Cesare Romiti non lo teorizzava esplicitam­ente, ma quel giorno mi parve di capire che l’aveva intuito bene.

Ero certo che l’incontro sarebbe stato breve, il tempo di una stretta di mano e poco più

Un clima informale sciolse rapidament­e l’iniziale imbarazzo e la mia timidezza

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Gianni Agnelli e Cesare Romiti a Firenze nel 1990 per una mostra sulla Ferrari (Ansa)

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