Corriere della Sera

Pregiudizi all’italiana

- di Massimo Gramellini

All’annuncio che la prossima commedia di Enrico Vanzina si intitolerà Lockdown all’italiana i social si sono scatenati come tori davanti alla muleta. Nessuno ovviamente ha già visto il film, ma è bastato associare il nome Vanzina a un evento nefasto per provocare un’ondata di moralismo emotivo. Non sono mancate le battute divertenti, «Nel 1986 avrebbe girato Natale a Chernobyl?», ma si rimane esterrefat­ti dalla perentorie­tà di certi giudizi, o pregiudizi. Posso capire chi scuote il capo davanti all’estetica trash della locandina, ma da qui a scorgervi un’offesa ai morti ce ne corre. Il film non ironizza certo sullo strazio dei malati e dei loro parenti, ma sulla convivenza forzata di due coppie di coniugi in crisi: una condizione che quest’anno ha riguardato tantissimi italiani e sulla quale sono stati scritti centinaia di articoli di costume e di «meme» satirici e grotteschi, apparsi su quegli stessi social che oggi danno voce all’indignazio­ne.

La commedia — bella o brutta, si vedrà — viene massacrata a priori, neanche fosse un cinepanett­one con infermiere scosciate inseguite da erotomani asintomati­ci per i corridoi di un ospedale, ma che ci volete fare? Come direbbe un Manzoni 2.0: «Si potrebbe osservare, ascoltare, paragonare e pensare, prima di twittare. Ma twittare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini social in generale, siamo un po’ da compatire».

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