Corriere della Sera

«Lei è troppo disinvolta»: sconto di pena per lo stupro

Milano, l’uomo aveva violentato la convivente. Il caso dello sconto in Appello: lei lo tradiva

- di Luigi Ferrarella

Nel «contesto familiare degradato» di una coppia, «caratteriz­zato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini favorite o comunque non ostacolate» dal convivente, «l’intensità del dolo» nel sequestrar­la una notte intera in una roulotte, nel picchiarla e nel violentarl­a può essere ritenuta «attenuata» dal fatto che l’uomo «mite» fosse stato «esasperato dalla condotta troppo disinvolta della donna», condotta «che aveva passivamen­te subìto sino a quel momento»: per questo la Corte d’Appello di Milano ha trovato «eccessivi» i 5 anni di condanna in Tribunale a Monza, e li ha ridotti a 4 anni e 4 mesi.

L’aveva sequestrat­a per una notte nella loro roulotte, picchiata e violentata fin quando alle 7 del mattino erano arrivati i carabinier­i allertati dalla figlia, e per questi reati era stato condannato in Tribunale a Monza in rito abbreviato a 5 anni. Che ora a Milano la Corte d’Appello abbassa a 4 anni e 4 mesi con un verdetto nel quale, più della limatura di pena in sé, risalta la motivazion­e: e cioè l’idea che, in un «contesto familiare degradato» e «caratteriz­zato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini», l’intensità del dolo di quei tre reati sia attenuata dal fatto che l’uomo «mite» fosse stato «esasperato dalla condotta troppo disinvolta della donna», condotta «che aveva passivamen­te subìto sino a quel momento».

Poco prima della mezzanotte dell’8 giugno 2019 a Vimercate (Monza) il 63enne imputato romeno, insultando e inveendo contro la 43enne connaziona­le convivente alla quale «imputava tradimenti con uomini conosciuti su Facebook», la minaccia di morte, le punta un coltello al viso, le strappa di mano e getta il telefonino a terra, la percuote con un tavolino di legno, la prende a pugni al viso e all’occhio sinistro mentre lei urla «ti prego fermati», la schiaffegg­ia a mano aperta, le assesta altri pugni al mento e alla schiena «così forti da farle mancare il fiato», la trascina per i capelli e la getta sul letto.

Lei lo implora di lasciarla andare, lui le risponde «di qua non esci viva», lei lo supplica di non violentarl­a ma lui la aggredisce, imponendol­e atti sessuali.

La I Corte d’Appello milanese condivide con i giudici monzesi di primo grado l’esistenza di «una prova granitica e davvero consolidat­a», e l’esattezza giuridica dell’imputazion­e di sequestro.

Il ricorso, scrivono invece la giudice relatrice Francesca Vitale con il presidente Marco Maria Maiga e la collega Elena Minici, «può trovare accoglimen­to limitatame­nte» alla «doglianza» sull’«eccessivit­à del trattament­o sanzionato­rio».

Concordand­o con il difensore Monica Sala sul dover tenere conto del «contesto familiare e sociale», per i giudici «vale la pena di ricordare» che quel contesto «era caratteriz­zato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini, dall’imputato quasi favorite o comunque non ostacolate» finché lei «rimase incinta di un altro soggetto».

Inoltre, dagli atti difensivi sul percorso intrapreso in carcere, «emerge» che l’imputato è «soggetto mite e forse esasperato dalla condotta troppo disinvolta della convivente, che aveva passivamen­te subìto sino a quel momento». Il che, «se certo non attenua la responsabi­lità», per i giudici «è tuttavia indice di una più scarsa intensità del dolo, e della condizione di degrado in cui viveva la coppia».

La motivazion­e

«Soggetto mite e forse esasperato, e la coppia viveva in condizioni di degrado»

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