Corriere della Sera

Quelle «vite sospese» di chi attende l’esito La giungla di regole per un test nel privato

Dalla docente al lavoratore, i reclusi in casa

- di Paolo Foschi

Studente in attesa di giudizio o, meglio, di tampone. Non è il titolo di un remake ai tempi della pandemia del celebre film di Nanni Loy, ma la situazione kafkiana sempre più frequente con la riapertura delle scuole e la ripresa a pieno regime delle attività lavorative nelle aziende alla fine dello smart working. Basta un sintomo ambiguo o il contatto con un sospetto caso Covid e si rischia di finire nel limbo dell’«isolamento fiduciario» senza certezze sui tempi per tornare alla normalità. Per escludere la positività basterebbe il tampone. In teoria l’accesso al test dovrebbe essere immediato per i casi sospetti nelle scuole, rapido in tutti gli altri, ma nella pratica non sempre è così e in alcuni casi è addirittur­a precluso, con effetti perversi.

Le testimonia­nze

Le testimonia­nze arrivano da tutta Italia. C’è lo studente di Trento recluso in casa perché affetto da una semplice sinusite: il protocollo non prevede il tampone, senza il quale però nessuno si assume la responsabi­lità di riammetter­lo in classe. O c’è il lavoratore del Lazio con sintomi di possibile Covid che aspetta per giorni — ben oltre i tre annunciati — che gli venga effettuato il test prescritto dal medico di base e nell’attesa sono costretti all’isolamento anche tutti i componenti del nucleo familiare (asintomati­ci). O, ancora, dal Sud rimbalza la storia della prof delle scuole medie positiva al test sierologic­o a cui però ancora la Asl di competenza dopo una settimana non ha effettuato il tampone. Lei sta bene, si sente in piena forma ma non può tornare in cattedra.

Il test negato

In soccorso al sistema sanitario potrebbero accorrere i privati: tutte le Regioni — a parte Lazio e Sardegna, che dovrebbero colmare il gap a giorni — hanno dato la possibilit­à ai laboratori privati accreditat­i di effettuare i tamponi (a pagamento). L’accesso rapido dovrebbe garantire alle persone non contagiate di uscire dal cerchio dantesco dell’isolamento, ma il percorso spesso si rivela a ostacoli. Prima di tutto serve la prescrizio­ne, ma i criteri di valutazion­e delle singole situazioni presentano un ampio margine di discrezion­alità. Inoltre c’è una contraddiz­ione: per obbligo deontologi­co il medico di base può prescriver­e una prestazion­e o un farmaco solo se necessario. Se il test è necessario allora perché non avviare il percorso Covid nella struttura pubblica? E se non è necessario, perché prescriver­lo nel privato? Molti medici preferisco­no quindi limitarsi a segnalare alla Asl i casi sospetti, ma sono poco propensi a prescriver­e il test nel privato. Poi c’è il problema dei costi: la Regione Campania, che consente l’accesso ai laboratori privati alle aziende e agli enti e non ai singoli cittadini, ha fissato la tariffa massima in 62 euro. Come denunciato da Federconsu­matori, però, spesso il prezzo è più alto: a Modena è stato denunciato un tampone

Il problema dei costi Per un esame la tariffa va dai 60 agli 80 euro, ma c’è chi si è trovato a pagare fino a 220 euro

pagato 220 euro. Molti laboratori lo effettuano a 60-80 euro, ma il prezzo sale per il responso in 24 ore. Senza maggiorazi­one, la permanenza nel limbo si prolunga.

Il caos normativo

Ogni Regione definisce criteri e linee guida diversi, in una giungla di burocrazia di difficile interpreta­zione che alla fine penalizza i cittadini. «Servirebbe­ro regole chiare e uguali in tutta Italia per non discrimina­re nessuno e facilitare l’accesso alle prestazion­i» spiega Gennaro Lamberti, presidente di Federlab, l’associazio­ne di categoria che rappresent­a oltre 2.000 strutture private in tutta Italia. «Il professor Andrea Crisanti ha presentato un piano che prevede 300 mila tamponi al giorno, attualment­e siamo intorno ai 100 mila e le strutture pubbliche sono già in affanno. Si è parlato dell’apertura di venti nuovi laboratori dedicati in ogni regione, ma i laboratori privati e accreditat­i già ci sono, basterebbe metterli in condizione di lavorare».

Procedure e paradossi

Che cosa succede se a scuola c’è un caso di sospetta positività? Secondo le linee guida ministeria­li se il responsabi­le sanitario ne ravvisa la necessità, lo studente con sintomi ha diritto all’accesso immediato al punto Covid dedicato per il test. A discrezion­e del medico viene deciso quali contatti stretti eventualme­nte sottoporre a tampone. Per gli altri, se asintomati­ci, scatta l’isolamento fiduciario e solo se e quando viene accertata la positività del caso sospetto si procede con il tampone anche per loro. Questi contatti, che possono essere intere classi e relativi familiari, rischiano di restare quindi in isolamento per giorni pur essendo in perfetta salute e non avendo contratto il virus. Sarà il medico a decidere modalità e tempi di riammissio­ne in classe (con o senza tampone). La procedura, già abbastanza bizantina, rischia il collasso se dovesse esserci la temuta impennata di casi nelle prossime settimane. Il sistema è infatti in sofferenza già adesso, eppure siamo solo all’inizio.

Tempi tiranni

La soluzione potrebbe arrivare dai test salivari con responso in un’ora: così le attese si accorcereb­bero per tutti. Il ministero della Salute sta valutando la validazion­e di nuove procedure, ma è una corsa contro il tempo per anticipare l’arrivo dei malanni stagionali.

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