City deserta, club senza soci Londra non è più «swinging» E ora teme il colpo di grazia
I provvedimenti arrivano in una città che si sta svuotando
La capitale britannica è una città spenta, che non è mai veramente tornata alla normalità: e ora teme l’arrivo di un nuovo lockdown. Che, intendiamoci, non significa tutti barricati in casa: qui non è mai stato così, neppure all’apice della pandemia, anche allora si andava a passeggio tranquilli. Ma comporterebbe comunque una serie di restrizioni che infliggerebbero il colpo di grazia a una metropoli già ferita a morte.
La gente già esce poco e, soprattutto, fa fatica a tonare in ufficio. Il governo dice che i due terzi dei lavoratori hanno ripreso il loro posto, ma l’aneddotica suggerisce il contrario: questa è una città di persone in pigiama su Zoom. La City resta semivuota e così anche i ministeri; gli eventi si svolgono online: presentazioni di libri — l’altro giorno quello di Ken Follett —, festival del design, a fine mese quello italiano, corsi di lingua — al nostro Istituto di Cultura: tutto avviene in remoto.
Gli effetti sono a cascata: e catastrofici. Nessuno va più in centro e a soffrirne sono tutte le attività che dipendevano dal flusso di pendolari. «Pret à Manger», la catena di sandwich onnipresente, ha dovuto licenziare un terzo del personale perché tante sue filiali restano chiuse. I ristoranti lavorano a singhiozzo e anche quelli chic si sono convertiti al takeaway per sopravvivere. Un esempio: la Brasserie Zédel dietro Piccadilly Circus, dove prima si lottava per un tavolo, adesso a pranzo resta chiusa e la sera apre solo tra le 6 e le 9 (e del suo celebre cabaret nel weekend rimane solo il ricordo).
Il governo ha provato a incoraggiare il ritorno al lavoro, ma con scarso successo: perché affrontare ore di viaggio schiacciati in metropolitana e pranzare con un panino alla scrivania quando si può restare comodamente a casa? Ma adesso, con la risalita dei contagi, le autorità potrebbero essere costrette a fare marcia indietro e tornare a raccomandare lo smart working per tutti. Un circolo vizioso.
Anche la vita sociale langue. I mitici club privati sono l’ombra di loro stessi e provano a reinventarsi con difficoltà: a Home House, in Portman Square, le sale sono semivuote e tutto il loro calendario di eventi si è spostato online. Ma un social club senza vita sociale è una contraddizione in termini: e così fioccano le cancellazioni dei soci.
Almeno della cultura si può godere con più calma: perché grazie alle regole del distanziamento le sale dei musei non sono più affollate e si può sostare con agio davanti a un Canaletto o a un Turner (ma bisogna essere fortunati a prenotare il proprio orario di visita). Teatri niente, invece: solo a novembre ripartiranno un paio di musical, per adesso il West End è un quartiere fantasma.
Le scuole hanno riaperto, ma le università restano a distanza. Sia allo University College che al King’s College, i due maggiori atenei della capitale, almeno fino a Natale tutta la didattica è online: e le povere matricole hanno avuto cancellati tutti gli eventi inaugurali. Triste gioventù.
Anche il mercato immobiliare è in caduta libera: tanta gente vende casa a Londra per trasferirsi in un’abitazione più grande in campagna (con lo smart working non fa differenza e ci si guadagna in aria salubre). Qui anche i nostri storici vicini hanno messo il cartello «for sale» davanti alla porta: ci mancheranno.
Stasera i londinesi guardano spaventati ai nuovi lockdown nel Nord e si chiedono: quando toccherà a noi?