La chirurgia vittima del Covid «C’è chi fa la metà degli interventi»
Non si è ancora ripresa dallo schiaffo del Covid 19 la chirurgia italiana. L’attività ordinaria è ripartita ma una buona parte dei 600 mila interventi in lista di attesa non sono stati recuperati, a discapito dei malati oncologici.
Solo il 60% dei circa 600 centri interpellati ha dichiarato di aver ripreso al 100% i programmi in elezione — le attività non d’urgenza — mantenuti nella fase pre epidemia. Negli altri centri si lavora al di sotto della media, nel 16% dei casi meno del 50% rispetto ai mesi «normali». L’associazione dei chirurghi ospedalieri Acoi ha aggiornato il sondaggio avviato a maggio per fotografare la situazione. A soffrire è nel complesso l’attività chirurgica in elezione che appena nel 21% dei centri è tornata a funzionare a pieni giri.
Va un po’ meglio con le urgenze. Confrontando il mese di giugno 2019 con quello del 2020 l’attività è rimasta più o meno allo stesso livello, ed è addirittura aumentata nel 58% dei casi.
Durante la fase 3 nella metà delle strutture si «è verificata una non disponibilità di ambienti necessari all’attività chirurgica, ad esempio sale operatorie e reparti di terapia intensiva». Al primo posto tra i fattori che hanno determinato una offerta incompleta di posti letto, la carenza di anestesisti (51%), di personale infermieristico (41%) e di chirurghi (8%). Evidentemente la priorità di dover rispondere all’emergenza soprattutto in termini di posti di rianimazione ha sottratto spazio ai pazienti ordinari.
Il sondaggio è stato effettuato il 4 settembre, con una distribuzione geografica omogenea. «La ripartenza è stata molto lenta per difficoltà di risorse umane e tecnologiche. Non si è fermato il fenomeno del contenzioso medico legale. Ci chiamano eroi poi però non dimenticano di chiamarci in tribunale», dice commentando i numeri Piero Marini, primario del San Camillo, riconfermato alla guida di Acoi nazionale. E incalza: «Gli interventi persi si accumulano, i tumori non possono aspettare. Per fortuna la chirurgia d’urgenza si è ripresa anche se non al 100%. Significa che chi va al Pronto soccorso riceve adeguata assistenza. C’è ancora paura nei pazienti. Tutto il personale che sarebbe dovuto arrivare di rinforzo agli organici ancora non l’ho visto».
Marco Montorsi, presidente della società italiana di chirurgia, la Sic, chirurgo e rettore dell’Humanitas, non generalizza. La situazione varia da ospedale a ospedale: «È vero però che ci sono state strutture dove le liste si sono molto allungate e il recupero è stato particolarmente lento. Ci stiamo chiedendo se questo abbia influito sul decorso della malattia tumorale e se il fatto di aver eseguito l’operazione durante la pandemia abbia aumentato le complicanze. Qui da noi non sembra sia accaduto. In due mesi di interventi in fase Covid il tasso di successi e complicanze e durata dei ricoveri è sovrapponibile agli scorsi anni».
Sarà questo il tema centrale all’ordine del giorno della società europea di oncologia chirurgica, presieduta da Domenico D’Ugo.«Siamo in grave difficoltà. I casi da trattare aumentano perché a quelli diagnosticati regolarmente si aggiungono i pazienti che arrivano con almeno due mesi di ritardo, in stato più avanzato per aver saltato gli screening durante il lockdown. I tempi medi di degenza si allungano e ogni giorno di degenza in più impedisce di far subentrare un altro malato».