L’ultimo appello di Zingaretti per convincere gli elettori M5S Nelle Marche il comizio finale
E dal Nazareno negano un suo interesse al rimpasto
«Adesso ventre a terra, poi si vedrà». Il futuro prossimo di Nicola Zingaretti sta chiuso in quel «poi». Tre lettere, scandite più volte dal segretario del Pd in questi ultimi giorni di corsa elettorale, che tengono insieme due scenari per il dopo elezioni. Nel primo le cose per il Nazareno si mettono male, o malissimo. Il Pd perde la Toscana, consegna alla Lega la roccaforte delle roccaforti e la leadership del presidente del Lazio vacilla, fino a innescare la corsa alla segreteria e la crisi del governo Conte. Un brutto film, che pare non trovi spazio nella testa di Zingaretti.
Nelle ultime ore l’umore di «Nicola» è cambiato in meglio. In Toscana il leader dem ha seminato ottimismo ad ogni passo. «Ora ce la faremo — ha dichiarato a Pisa —. L’Italia ce la farà, come diceva Ciampi». Il segretario ha promesso il rilancio della regione con i soldi del Recovery e ha spazzato via gufi e cornacchie: «È una battaglia che vinceremo». E a Livorno, spronando gli elettori a unirsi contro le destre, Zingaretti ha sfoderato un sorriso via l’altro: «Sono ottimista, comincio a essere ottimista... Anche sulle Regionali ci saranno belle e positive notizie, non tanto per noi, per gli italiani».
Zingaretti insomma si è convinto che la Toscana resterà «rossa» e che, anche nelle Marche, il suo appello contro le destre a «non giocare col fuoco» scalderà i cuori degli elettori grillini: se il Nazareno ha scelto Macerata per chiudere la campagna elettorale al fianco di Maurizio Mangialardi, è perché secondo i sondaggi che girano nella sede del Pd il vento sarebbe cambiato a favore della coalizione di centrosinistra. Fosse così davvero, Zingaretti potrebbe già mettere una bottiglia in frigo. Anzi due, nel caso il fronte del no al referendum fallisse l’obiettivo di ribaltare i pronostici.
E qui si delinea il secondo scenario. Zingaretti, dopo aver «salvato» la Toscana e magari anche resistito al richiamo dei padri nobili, da Prodi a Veltroni, contro il taglio dei parlamentari, si convince che il governo può concedersi un corposo tagliando. E che il Viminale ha bisogno di un ministro dell’Interno politico: perché non il segretario del Pd? Il quale a quel punto potrebbe ambire anche alla carica di vicepremier, magari in tandem con Luigi Di Maio. Ieri sera a Porta a Porta l’ex capo politico del M5S ha detto che un rimpasto i cittadini non lo vogliono, ma senza chiudere del tutto: «Vediamo quali sono i risultati e poi discutiamo di quali sono gli effetti». Parole che suonano come il «poi si vedrà» con cui Zingaretti, parlando con collaboratori e ministri, è solito allontanare il «chiacchiericcio di fine estate» e i «giochini politicisti».
Il segretario sa bene che Giuseppe Conte è contrario a cambiare la squadra in corsa (per il premier «rimpasto è un concetto vecchio») e conosce i dubbi di Dario Franceschini, capo delegazione del Pd. Eppure raccontano che Zingaretti sia tentato davvero e non solo perché Goffredo Bettini da tempo suggerisce un «salto di qualità», che consenta all’esecutivo di passare «dall’emergenza alla ricostruzione». La cui prima mossa, nei piani del Pd, è ottenere che Conte dica sì ai 37 miliardi del Mes.
Ma un ministro dem teme il trappolone e avverte il segretario: «Zingaretti vicepremier? È il sogno di quelli che vogliono farlo saltare. Un minuto dopo il giuramento del Conte ter i nemici interni gli chiederebbero di dimettersi dal Nazareno. E dovrebbe anche lasciare la Regione Lazio, che finirebbe nelle mani della destra». Una doccia gelata di realismo, che spiega perché, nelle stanze e nei corridoi del Nazareno, ogni scenario che veda Zingaretti al governo viene smentito con forza e anche un po’ di fastidio: «Nicola pensa solo alla campagna elettorale». Ventre a terra, poi si vedrà.