Prete ucciso, l’arrestato adesso nega
Il tunisino ribalta la versione al gip. Il nodo della perizia psichiatrica. Oggi i funerali di don Roberto
Ieri ha ritrattato tutto, ha negato di aver commesso l’omicidio che aveva confessato 24 ore prima, ha rifiutato di firmare il verbale col suo primo racconto e non ha voluto nominare un avvocato di fiducia. Forse Ridha Mahmoudi, il cinquantatreenne tunisino arrestato per l’omicidio di don Roberto Malgesini, sta giocando più o meno consapevolmente la carta processuale dell’infermità mentale, o forse sta continuando la sua personale, confusa, ossessiva battaglia contro «l’Italia» e contro tutti quelli che nel suo avvelenato e paranoico sguardo la rappresentano. Compreso quel prete che gli dava da mangiare, lo ascoltava e cercava di andare incontro a ogni sua necessità quotidiana.
In ogni caso, il giudice per le indagini preliminari Laura De Gregorio ha convalidato l’arresto, ritenendo Mahmoudi capace di intendere e di volere. Toccherà, eventualmente, all’avvocato difensore — ancora d’ufficio — chiedere la perizia psichiatrica per dimostrare il contrario e alleggerirne così la posizione giudiziaria. Al di là di qualsiasi verdetto medico, però, sono gli stessi, pochi brandelli di biografia fin qui raccolti a raccontare un’alterazione paranoica, non infrequente tra le persone che — come lui — sono scivolate da una vita alla luce del sole al girone degli invisibili che abitano gli interstizi delle città.
Ma chi è Ridha Mahmoudi? In questa dolorosa vicenda di splendore e miseria umana, i custodi dei suoi smozzicati e contraddittori racconti e sfoghi sono le stesse persone che lo hanno aiutato o frequentato per anni, nelle mense e nel sottobosco della città e, al tempo stesso, i collaboratori più stretti o i beneficiari più grati dell’opera infaticabile di don Roberto Malgesini e degli altri preti e laici impegnati a portare umanità dove ce n’è ben poca. Quindi — per delicatezza giudiziaria e perché chi si dedica agli altri non ne rivela le confidenze — in queste giornate afose persino nel microclima lariano ben pochi sono inclini a raccontare il poco che sanno di quel tunisino che ogni tanto diventava ruvido anche nei confronti di chi gli offriva aiuto.
Di certo si sa che vive in Italia dal 1993, aveva trovato lavoro e si era sposato con una donna italiana. Insomma, era riuscito a tradurre la sua traversata del Mediterraneo in una «vita». Poi la separazione e il progressivo scivolamento verso la strada. Una condanna per maltrattamenti rappresenta un pesante indizio sulla fine di quel matrimonio e, al tempo stesso, sulla successiva sequenza di sbalzi di umore esplosivi anche verso chi gli era più vicino. Ci sono i decreti di espulsione rimasti pezzi di carta per una ragione o per l’altra, c’è un’altra condanna per estorsione, ma soprattutto ci sono le descrizioni di un uomo senza meta che vaga per Como con uno zaino in spalla, dorme nella parrocchia di Sant’Orsola, mangia alla mensa della chiesa del Gesù e inveisce contro l’Italia. Fino all’aggressione mortale contro il prete che lo aiutava.
Nel frattempo, terminati gli accertamenti medico-legali, i funerali di don Roberto saranno celebrati oggi alle 17 a Regoledo di Cosio (Sondrio), il suo paese di origine. Domani alle 9.30 nella cattedrale di Como — dove in tanti, in tante lingue, non si dano pace per questa perdita — sarà celebrata la messa di suffragio.