Corriere della Sera

UNA SVOLTA PER SOSTENERE I RICERCATOR­I ITALIANI

L’appello È necessario fare finalmente scelte specifiche e programmat­iche capaci di sviluppare creatività, talento e competitiv­ità. La grande occasione del Recovery Fund

- Scienziate per la Società Anna Rubartelli, Paola Romagnani, Giulia Casorati, Maria Rescigno, Sara Gandini, Anna Mondino, Michela Matteoli, Francesca Fallarino, Valeria Poli, Rossella Marcucci, Michaela Luconi, Barbara Bottazzi

Dopo i difficili mesi di lockdown ed elevati costi umani ed economici, il nostro governo si appresta a rilanciare il Paese programman­do ingenti investimen­ti in settori strategici per il futuro sviluppo socioecono­mico, grazie anche all’importante contributo europeo del Recovery Fund. Per realizzare questo obiettivo, e finalmente agganciare l’Italia ai Paesi più avanzati, sono necessari investimen­ti coraggiosi in settori competitiv­i, a partire dalla ricerca e dal suo sviluppo accademico e industrial­e.

La ricerca è universalm­ente riconosciu­ta come strumento di competitiv­ità e propedeuti­ca allo sviluppo economico. Eppure il nostro Paese rimane il fanalino di coda. L’Italia spende in ricerca e innovazion­e soltanto l’1,4% del Pil (quattordic­esima in Europa alla pari di Spagna e Grecia, Paesi con cui condivide un prolungato stallo economico). Germania, Danimarca e Austria, economie in costante crescita, spendono in ricerca più del doppio, il 3% del Pil. Gli scarsi investimen­ti nella ricerca hanno inficiato negli anni lo sviluppo tecnologic­o e la nascita di nuove imprese, responsabi­li della drammatica disoccupaz­ione giovanile (in Italia del 31,4%, contro il 5,1% della Germania).

Eppure, la ricerca italiana è riconosciu­ta come una eccellenza internazio­nale. Non è un caso che in ambito biomedico, due dei cinque prodotti europei di terapia genica e cellulare avanzata, di cui l’Italia è capofila, siano nati dalla ricerca accademica italiana, con il supporto del non profit e industrial­e. E che ricercator­i italiani siano ottavi al mondo per numero di articoli scientific­i pubblicati e quinti per numero di citazioni (anno 2018). Il nostro tessuto sociale, educativo e culturale è quindi ben capace di produrre talenti. Talenti che però non riusciamo a trattenere. Il numero di ricercator­i è bassissimo nel nostro Paese: 5,6 per 1.000 abitanti contro i 10,9 della Francia e i 9,7 della Germania. Carenze infrastrut­turali, scarsi investimen­ti e remunerazi­one inadeguata limitano le opportunit­à di lavoro e di carriera, spingono giovani brillanti a cercare opportunit­à oltre confine e al tempo stesso impediscon­o il reclutamen­to internazio­nale. Un esempio eclatante: l’European Research Council (Erc), l’ente che seleziona e finanzia la ricerca d’eccellenza in Europa, ha premiato 53 giovani ricercator­i e ricercatri­ci italiani su 436 partecipan­ti europei (secondi solo ai tedeschi con 102, e seguiti dai francesi con 37). Di questi 53, soltanto 20 realizzera­nno i loro progetti di ricerca in Italia. Gli altri (la maggioranz­a), attratti da un migliore supporto organizzat­ivo, economico e politico sopaci sterranno lo sviluppo di Paesi vicini. Questa emorragia di talenti non solo impoverisc­e il Paese, ma ci rende meno competitiv­i.

Tutto ciò in un momento in cui l’importante investimen­to finanziari­o nel Recovery Fund sta costringen­do l’Europa a tagliare alcune voci di spesa tra cui la ricerca, come recentemen­te denunciato dall’Embo Council (l’organizzaz­ione intergover­nativa finalizzat­a alla promozione della ricerca scientific­a europea): una scelta che rischia di peggiorare ulteriorme­nte la situazione.

Il presidente del Consiglio e il ministro Manfredi hanno recentemen­te usato parole

Al settore destiniamo l’1,4% del Pil, quanto Spagna e Grecia, meno di metà di Germania, Danimarca e Austria

importanti nel sostenere la criticità di investimen­ti struttural­i, programmat­ici e continuati­vi in ricerca quale strumento di crescita per il Paese. Tuttavia, nel primo schema delle linee guida per il Recovery Plan italiano, presentato in occasione della riunione del Comitato interminis­teriale per gli Affari europei (Ciae) del 9 settembre, la ricerca è citata solo marginalme­nte, tra pur importanti progetti quali lotta all’abbandono scolastico, politiche mirate ad aumentare i laureati e cablaggio in fibra ottica delle università.

È invece necessario che il nostro Paese faccia scelte specifiche e programmat­iche ca

Il nostro tessuto sociale, educativo e culturale è ben capace di produrre talenti, che però non riusciamo a trattenere

di supportare creatività, talento e competitiv­ità dei nostri ricercator­i e ricercatri­ci, eccellenze nazionali spesso non adeguatame­nte riconosciu­te.

Almeno quattro sono le aree di intervento: 1. Stanziare finanziame­nti congrui e regolari per la ricerca fondamenta­le, che è il vero motore del progresso scientific­o e che, pur non immediatam­ente collegabil­e ad applicazio­ni pratiche, ne pone imprescind­ibilmente le basi; 2. Definire piani di rientro per ricercatri­ci e ricercator­i italiani vincitori di Erc; 3. Investire per potenziare una rete di infrastrut­ture di ricerca e centri di eccellenza; 4. Facilitare lo sviluppo delle start-up con finanziame­nti sostanzios­i per traghettar­le al venture capital.

Secondo un’analisi di Ugo Amaldi, fisico del Cern, in Italia servirebbe­ro 15 miliardi per raggiunger­e la Francia in cinque anni e 22 miliardi per raggiunger­e la Germania in sei anni. La strada è lunga ma il momento è adesso. Chiediamo ai nostri governanti di impegnarsi perché una parte congrua del Recovery Fund sia destinata alla ricerca. Le competenze, l’energia e la resilienza ci sono. Abbiamo una grande occasione, forse l’ultima, per cambiar rotta e rilanciare le Università e i Centri di ricerca. Non sprechiamo­la.

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