Corriere della Sera

Bassanini vede Vestager, il nodo controllo dell’Authority Ue

- Di Federico Fubini

Franco Bassanini, presidente di Open Fiber, parlerà oggi con il commissari­o Ue alla Concorrenz­a Margrethe Vestager e si può già immaginare il tema: la società che dovrebbe nascere dall’alleanza fra una controllat­a di Tim e Open Fiber, sotto la regia del governo tramite Cassa depositi e prestiti (Cdp), per realizzare una rete unica in fibra in Italia. Nessuno può prevedere oggi l’orientamen­to della Commission­e Ue. Ma se Bruxelles accettasse la nascita di un nuovo monopolio senza vincoli, ribaltereb­be trent’anni di scelte a favore della concorrenz­a che hanno dato agli italiani più servizi a prezzi sempre più bassi.

Dunque l’operazione oggi resta tutt’altro che definita. E il principale punto in comune con le altre partite industrial­i di questi mesi in fondo è proprio qui: non solo l’interventi­smo pubblico, anche il fatto che le spinte in quella direzione somigliano a impulsi senza un piano preciso e con esiti incerti. Il nuovo dirigismo può piacere o no, ma per ora è una collezione di incompiute. Come se oggi l’Italia volesse più Stato nell’economia, ma senza sapere come e perché.

Alitalia resta senza un piano industrial­e. Quanto a Patrimonio Destinato, dovrebbe diventare il «fondo sovrano» italiano per investimen­ti in imprese medio-grandi; ma sarebbe l’unico al mondo finanziato con debito pubblico e non con i proventi reali. L’ingresso di Cdp in Autostrade per l’Italia per ora è solo un’intenzione, perché l’azienda venditrice — quali che siano stati i suoi errori passati — non accetta di farsi dettare le condizioni e risulta ora chiaro che il piano annunciato in estate per era molto approssima­tivo. Quanto all’intervento pubblico nell’Ilva, resta altrettant­o in alto mare: a più di un anno da quando il governo stracciò gli accordi presi con gli investitor­i privati già presenti (Arcelor Mittal), le prospettiv­e sono quelle di un’attesa lunghissim­a con blocchi produttivi e cassa integrazio­ne di massa.

C’è poi la questione di Borsa Italiana e anche qui le incertezze non mancano. Tutt’altro che a sorpresa (Corriere della Sera, 17 luglio) Cdp è stata ancora una volta incoraggia­ta da Palazzo Chigi a entrare a fianco dei franco-olandesi di Euronext nell’asta per il gruppo che include la piattaform­a dei titoli di Stato Mts e tutte le infrastrut­ture di Piazza Affari. Cassa depositi è guidata da manager di grande profession­alità, ma non può ignorare le indicazion­i del suo azionista pubblico di controllo. In questo caso il venditore è il London Stock Exchange, che ha gestito la sua società italiana dal 2007 senza mai un intoppo. Qui l’incertezza è data dall’affacciars­i di altri due pretendent­i: Deutsche Börse e la svizzera Six, che hanno entrambe presentato offerte migliori di quella di EuronextCd­p. Sia gli svizzeri che i tedeschi sono pronti a pagare di più e promettono di lasciare più autonomia a Borsa Italiana (mentre Euronext dà per statuto un diritto di veto ai governi olandese e francese, che presidiano i massimi vertici, su chiunque sieda in consiglio).Si tratta dunque di capire cosa vorrà fare il governo. Mettere un veto su Deutsche Börse usando i nuovi, vasti poteri di «Golden Power», dopo che la Germania ci ha messo a disposizio­ne un Recovery Fund da 209 miliardi? Sbarrare la strada agli svizzeri, neanche fossero un’azienda di Stato cinese? O «invitare» il gruppo vincente, quale che sia, a prendere a bordo Cdp? L’idea che investitor­i di Paesi amici e vicini che possono entrare in Italia solo se in cordata con un’azienda pubblica italiana non sembra elegantiss­ima; né senza rischi per un’Italia sostenuta da tante aziende che vogliono investire liberament­e e crescere nel mondo. E se altri governi ci ripagasser­o della stessa moneta? Ma poi che bisogno c’è di un intervento pubblico in Borsa, che funziona da sé grazie a capaci e affidabili operatori privati?

In fondo simile è un’altra partita nevralgica, quella del «cloud». Il governo progetta di usare il Recovery Fund per trasferire molti dati digitali dello Stato su enormi «centri dati» con grandi capacità operative. È la scelta giusta. Le procedure per cittadini e imprese possono diventare più veloci, ma non è chiaro come avverrà. Il decreto Semplifica­zioni evoca la possibilit­à che anche questa operazione si faccia con l’intervento pubblico, benché le sole aziende al mondo in grado di fornire davvero il servizio siano Amazon, Google, Microsoft e pochi altri grandi gruppi esteri. Significa che chiunque entra nel Paese dovrà allearsi a un’azienda italiana a partecipaz­ione statale? Anche qui le domande sono più delle risposte e intanto centinaia di milioni in investimen­ti privati ritardano per questo. Anche qui restano da chiarire natura, tempi, modi e obiettivi dell’intervento pubblico.

Il nuovo dirigismo che si è diffuso in Italia può piacere ad alcuni e tutte le posizioni sono legittime, ovvio. Ma se lo Stato lo pratica con l’efficienza per cui va famoso, allora forse è meglio ripensarci.

Da Alitalia ad Atlantia, da Borsa Italiana al cloud: le partite aperte dello Stato azionista

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