«Per la prof ero stonata»
Il personaggio La cantante emiliana si confessa nell’autobiografia «Tra bandiere rosse e acquasantiere» Orietta Berti: timida come papà Detestavo «Fin che la barca va» Tenco mi citò e fui massacrata
Orietta (Galim)Berti, emiliana da Cavriago, 16 milioni di copie vendute, amata del pubblico, snobbata dalla critica. Una vita da romanzo che infatti diventa un’autobiografia: Tra bandiere rosse e acquasantiere (Rizzoli, dal 22 settembre).
Nel suo paese c’è un busto di Lenin, la mamma era comunista, eppure lei ha una collezione di oltre 100 acquasantiere. Come è successo?
«Con mio papà andavo a tutte le processioni perché lui era molto religioso, era devoto di San Giovanni».
Sembra la storia di Peppone e Don Camillo, rossi e bianchi sempre in conflitto. Il papà vince però, riesce anche a trasmetterle l’amore per la musica...
«Era un tenore mancato. Era stato abbandonato dal padre che si era rifatto una famiglia a Bordeaux (anche lì tre figli con gli stessi nomi di quelli abbandonati, roba da film ndr) e allora si è dovuto rimboccare le maniche e mettersi a lavorare. E il suo desiderio l’ha riversato su di me, voleva diventassi soprano, ma non ci sono riuscita perché quando è morto anche io come lui dovevo aiutare in casa. E mi sono messa a fare la sarta». Passi per le acquasantiere, ma la mamma cosa
avrebbe detto del suo coming out per Di Maio?
Ride: «Mi sono vista attribuire ogni colore politico. Dicevano che ero comunista perché cantavo alle Feste dell’Unità, poi sono stata ritenuta democristiana per le canzoni disimpegnate a Sanremo, quindi berlusconiana perché
ero nel cast di Buona Domenica. Ma in realtà io sono sempre stata attenta a non schierarmi con nessuno». A chi deve dire grazie?
«La mia più grande fortuna è stata conoscere un discografico come Giorgio Calabrese: aveva anche De André e Memo Remigi, e si prese cura di me. Da ragazza di provincia senza mezzi finanziari e di comunicazione (per fare le telefonate dovevo andare al bar del paese) mi ha fatto diventare una cantante popolare. Il mio successo lo devo a lui. E al pubblico». Eppure la prof di canto disse che era stonata...
«Ero come mio papà, talmente timida che non mi usciva la voce».
Tenco nel biglietto di addio disse che si suicidava come «atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale».
«È un episodio che ha segnato me personalmente e la mia carriera. C’è stato un periodo in cui nell’ambiente mi schivavano tutti. Ma sono convinta che il biglietto non lo avesse scritto lui, c’erano due errori di ortografia che mai avrebbe fatto. Per quella storia sono stata messa nell’angolo. Sono sempre stata tartassata, i giornali non scrivevano una riga su dime, sembravo una cantante fantasma: eppure vendevo un sacco di dischi».
«Fin che la barca va» è la canzone che la identifica, eppure non le piaceva...
«Non diciamo quante copie ha venduto che poi sono sempre sottoposta a tasse in più... Io volevo una canzone d’amore e a me quel testo non piaceva. L’ho fatta a malincuore, meno male che mi ha convinto mia mamma». «Playmen» e «Playboy» le chiesero di posare nuda.
«Mi offrirono cifre da capogiro: ma chi l’avrebbe sentite poi mia madre e mia suocera». Il futuro?
«Sto preparando un cofanetto di 6 cd che raccoglie una selezione delle mie canzoni e alcuni inediti per festeggiare i 55 anni di carriera».
Sono 150 canzoni, meno male che è una selezione. Quante ne ha cantate in tutta la sua carriera? «Più di 1500».
E le parole se le ricorda tutte?
«Ho sempre un leggio, come Aznavour».