Quei pionieri (dissacranti) che cambiarono la bellezza
Da Greene a Donovan, il loro coraggio ispirò anche il grande cinema
La satira decreta il successo di un personaggio, di un mondo. Così è per quello della moda e dei suoi diretti emissari: i fotografi. L’ironia del cinema a volte mordace, altre volte più tiepida, da sempre ha posto l’accento sui grandi protagonisti dello scatto patinato, dissacrandoli proprio per il loro ruolo sovraesposto. Lo fa già Stanley Donen nel 1957 con Funny face, film tiro al bersaglio contro la direttora delle direttore delle riviste fashion di tutti i tempi: Diana Vreeland. E contro quello che all’epoca era il suo braccio armato: il fotografo (oggi mito) Richard Avedon. Quest’ultimo nel film ha fisico&ironia di Fred Astaire, impegnato a trasformare una svaporata Audrey Hepburn, da commessa esistenzialista in una libreria del Greenwich Village newyorkese, nell’equivalente di una supermodella di oggi: sfila un intero guardaroba creatole da Givenchy.
Al di là dell’ironia dissacratoria, l’elemento di forte interesse della pellicola è su come Astaire/Avedon approccia l’immagine di moda, scattando per la rivista Quality, l’equivalente nella realtà di Harper’s Baazar e Vogue, in quel periodo diretti proprio da Vreeland: mannequin meravigliose (Hepburn compresa), immortalate in «location» impensabili per l’epoca: una libreria, un mercato di fiori, una stazione ferroviaria.
E va ricordato che proprio uno degli scatti più noti di Avedon è Dovima With Elephants: l’eburnea modella in Dior by Saint-Laurent mozzafiato, tra euforici maxi Dumbo. Lo scatto è del 1955, gli anni del film di Donen. Il cambiamento dell’immagine fotografica patinata è in corso. Anni che sono il cuore del periodo esplorato dalla mostra Norman Parkinson & Fashion Photography: dal 1948 al 1968.
Protagonisti ne sono, oltre agli scatti di Parkinson, quelli di Milton H. Greene (alter ego dall’obiettivo di Marilyn Monroe), Terence Donovan e Terry O’Neill (biografi per immagini della Swinging London), infine Jerry Schatzberg (anche regista del film Mannequin Frammenti di una donna con Faye Dunaway).
«Sono venti anni nodali durante i quali l’estetica si trasforma. L’eleganza e la bellezza sono protagoniste, la ricercatezza nei dettagli come nella scelta degli accessori per gli scatti di moda capillare — commenta Rossella Bisazza, vicepresidente della Fondazione Bisazza organizzatrice dell’evento —. L’idea in quegli anni di scattare in esterni, servizi in cui fossero protagoniste creazioni di moda esclusive indossate da modelle sofisticate, anticipava certi codici della fotografia di moda di oggi. Dopo le mostre fotografiche con gli scatti architettonici di Candida Höfer e quelli legati all’universo nipponico di Araki, consequenziale avere protagonista un universo proteiforme come la moda, inteso però come espressione culturale a tutto tondo». Al di là della bellezza fine a se stessa, gli scatti legati alla fotografia di moda, propongono e interpretano cambiamenti di modi di essere. Al di là dell’abito: il corpo, la sensualità, la sessualità.
E gli esempi sono numerosi. Se Cecil Beaton incarna il glamour british più rarefatto (la sequenza di Ascot in My Fair Lady), piuttosto che Horst P. Horst (il Victoria&Albert Museum gli dedicò la storica seduttiva mostra: Horst: Photographer of Style), David Bailey gioca su un’immagine più «wild».
Più tardi grandi nomi come Mario Testino e Bruce Weber, Annie Leibovitz e Bettina Rheims hanno dialogato, attraverso la loro macchina fotografica, con contenuti di stile come l’abito, le autovetture, il corpo esibito per raccontare l’essenza stessa della moda. «Uno straordinario percorso narrativo le immagini in mostra — spiega la curatrice Cristina Carrillo de Albornoz —. La fotografia appare come forza capace di plasmare i mondi dei media nel nome di bellezza, eleganza e ricercatezza».
Testimonianze La fotografia di moda propone e interpreta anche dei cambiamenti nei modi di essere