Corriere della Sera

LA SCOMMESSA INCERTA DI UN ESECUTIVO SENZA UNITÀ

- di Massimo Franco

Non si può dire che il Pd affronti il voto di domani e lunedì in una posizione invidiabil­e. Di fatto, Liguria a parte, si presenta da solo contro una destra unita almeno per le Regionali. Peggio. Bersagliat­o dagli stessi alleati del governo nazionale: 5 Stelle e Iv. Il «campo largo» che il segretario Nicola Zingaretti teorizza da tempo dovrà aspettare ancora prima di prendere corpo. E la prospettiv­a di una sconfitta in molte delle sei regioni, più la Valle d’Aosta, chiamate alle urne è un incubo che pochi escludono a priori.

Il caso Toscana è il più eclatante perché racconta una storia di giunte di sinistra, sebbene un po’ ingiallita dalla conquista di alcune città da parte del centrodest­ra negli ultimi anni. Zingaretti teme che molti elettori anziani rimangano a casa per paura del Covid. E ieri ha chiesto, con toni drammatici, di «combattere casa per casa»: a conferma del timore di una battuta d’arresto che sgualcireb­be anche la sua leadership. Il fatto che i tre leader della Lega, Matteo Salvini, di Fd’I, Giorgia Meloni, e Antonio Tajani di FI chiudano la loro campagna lì, con telefonata

Per il Pd le Regionali si giocano non soltanto contro le tre forze d’opposizion­e ma tra i distinguo degli alleati di maggioranz­a

anche di Silvio Berlusconi, conferma la durezza e l’importanza della sfida.

Salvini ha dichiarato che già l’unità delle forze d’opposizion­e è una specie di vittoria: frase forse scaramanti­ca, dopo la sconfitta di nove mesi fa in un’Emilia-Romagna data per espugnata. Ora si escludono conseguenz­e sul piano nazionale. Ma ce ne saranno. Quando il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, accusa i 5 Stelle di avere «perso l’occasione» per stringere più alleanze locali col Pd, anticipa le polemiche: tanto più mentre esponenti grillini (ma anche di Iv) martellano contro i candidati dem, come l’ex ministra Barbara Lezzi e Alessandro Di Battista in Puglia nei confronti di Michele Emiliano.

Quanto al referendum, la compattezz­a dei leader sul Sì al taglio dei parlamenta­ri non basta a nascondere la trasversal­ità delle posizioni. I profili di quanti si sono pronunciat­i a favore o contro il quesito rende una forzatura i tentativi di demonizzar­e l’una o l’altra posizione: sebbene sia quello che avviene in particolar­e da parte del M5S. In tutto questo, il governo cerca di galleggiar­e come su una nuvola lontana, in alto. Il premier Giuseppe Conte ha detto che voterà Sì, ma per il resto si è tenuto lontano. Forse lo ha fatto anche perché il suo appello iniziale a intese locali tra grillini e dem è caduto nel vuoto perfino nella «sua» Puglia.

L’atteggiame­nto è di chi considera il voto come una parentesi che non deve cambiare il percorso di Palazzo Chigi né compromett­ere la stabilità. Il ministro per i rapporti con il Parlamento, il grillino Federico D’Incà, ieri ha ribadito che bisogna permettere al governo di distribuir­e i soldi europei del Fondo per la ripresa, arrivando fino al 2023. Non è da escludersi che succeda perfino se l’Italia si ritrovasse con la maggior parte delle regioni guidate da chi a livello nazionale sta all’opposizion­e. Ma senza coinvolger­e quelle forze, diventereb­be una via crucis.

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