«Niente minigonne, distraggono i prof» Protesta delle liceali contro la dirigente
Roma, le ragazze al Socrate: non è colpa nostra E adesso il ministero chiede una relazione
C’è chi la racconta come un grande fraintendimento, e chi invece lancia precise accuse di sessismo. La storia delle minigonne censurate al liceo Socrate alla Garbatella, quartiere popolare che anticipa la periferia di Roma, sta facendo comunque molto discutere. Raccontano le studentesse, e pure gli altri studenti che hanno assistito, che non ci sarebbero dubbi in merito al fatto che la professoressa abbia davvero invitato le ragazze «a non indossare le gonne perché, sennò, ai professori gli cade l’occhio», e che tutto è successo il primo giorno di scuola, lunedì 14.
La vicepreside Silvia Acerbi, che tutti descrivono sempre attentissima alla forma e dunque anche al decoro dell’abbigliamento in classe, si sarebbe presentata nelle varie aule per illustrare le nuove regole e procedure da seguire a scuola ma poi — vedendo la situazione, cioè gli alunni seduti sulle sedie senza i banchi davanti — quella frase l’ha davvero pronunciata: «Attenzione, che altrimenti ai prof gli cade l’occhio». Abbastanza per innescare un ciclone di polemiche che ha travolto tutta la scuola, anche alla luce del precedente in Francia, dove pure le studentesse si sono poi ripresentate a scuola in minigonna proprio in segno di protesta.
Subito infatti le ragazze del liceo hanno reagito, affiggendo fuori dalla classe il cartello «non è colpa nostra se gli cade l’occhio» e rilanciando con una provocazione, ovvero «tutte a scuola in minigonna». «I nostri corpi non possono essere oggettificati — hanno esortato alla rivolta su Instagram le ragazze del collettivo Ribalta femminista, nato in estate per riportare in auge la questione femminile —: non possiamo prendere la colpa degli sguardi molesti degli insegnanti». E in effetti ieri molte ragazze hanno aderito: «Io oggi ho indossato la minigonna, più corta davanti e più lunga dietro — ammette una studentessa all’uscita — non per fare protesta a tutti i costi ma per dimostrare che si può andare a scuola comunque, nei limiti della decenza, anche indossando una gonna». Altri, invece, difendono la vicepreside: «È stato tutto un grande fraintendimento — dice uno dei rappresentanti, Angelo Di Giovanni —: non essendoci ancora i banchi, e stando noi seduti sulle sedie, alcuni prof si sono lamentati dei vestiti e allora lei ha chiesto un abbigliamento più consono, ma citando anche i pantaloncini corti il che dimostra che non era una critica sessista». Il preside Carlo Firmani, pur descrivendo il Socrate «fieramente e da sempre attento al rispetto di tutte le individualità e di tutte le opinioni», promette «accertamenti» e anche il ministero dell’Istruzione ha chiesto una relazione alla scuola. Le ragazze del collettivo chiedono di andare oltre: «Andare a scuola in gonna è stata una risposta spontanea, non ci interessa l’episodio singolo, questa è l’occasione per mettere al centro il ruolo della scuola».