IL SOTTILE EQUILIBRIO DEI RITORNI
Il lavoro dell’architetto spagnolo valorizza lo storico bronzo. In un equilibrio tra passato e presente che è anche metafora
Metodo
Mi interessa dare nuovo significato a una realtà preesistente ma senza distruggerla
CON LA MOSTRA DI BALDEWEG (OMAGGIO ALLA «VITTORIA») BRESCIA RILANCIA LA BELLEZZA
Consapevolezze
Nell’arte, come nella vita, l’equilibrio assoluto non è raggiungibile. Nella precarietà c’è la sorpresa
Uomo del Rinascimento. Così il curatore PierreAlain Croset condensa la figura poliedrica dello spagnolo Juan Navarro Baldeweg (Santander, 1939), architetto tra i più originali del panorama contemporaneo, ma anche pittore, scultore, progettista di installazioni. E protagonista, fino al 5 aprile 2021, di una mostra-tributo, la prima in Italia, negli spazi Unesco del Museo di Santa Giulia a Brescia. La città per la quale ha firmato il progetto di riallestimento del Capitolium, destinato ad accogliere il grandioso bronzo della Vittoria alata, che torna a casa a novembre al termine di un restauro durato due anni presso l’Opificio delle Pietre Dure a Firenze. Con una vasta selezione di tele, sculture, disegni e modelli dei suoi progetti più importanti, l’antologica si addentra nell’universo progettuale e creativo di questo artista schivo, poco noto al grande pubblico, capace di dialogare con la storia tramite un linguaggio declinato su luce, spazio e gravità, intesa in chiave emozionale come «energia, coscienza di sé attraverso il proprio peso».
Lei ha progettato il Museo delle grotte di Altamira, la ristrutturazione della Biblioteca Hertziana a Roma, la riconversione del Mulino di Martos con il Balcone del Guadalquivir a Cordova. E ora lo spazio per la Vittoria alata a Brescia. Qual è il suo rapporto con la memoria?
«Di costruzione e de-costruzione. Mi interessa, cioè, dare nuovo significato a una realtà preesistente senza distruggerla, solo in virtù di un cambio semantico. Come nei ready-made di Duchamp».
Ci fa un esempio? «La Biblioteca Hertziana di Roma nel cinquecentesco palazzo Zuccari, dove un giardino è stato trasformato in contenitore, la porta a mascherone in bocca spalancata, che conduce al centro del sapere, richiamando l’idea di un cervello».
Quale il pensiero progettuale alla base della nuova sede per la Vittoria alata?
«Trasformare un oggetto fisico in ideale. Un’operazione simbolica, di astrazione intellettuale, possibile attraverso tre scelte chiave: la collocazione in solitaria a dominio dello spazio; il posizionamento a 160 centimetri da terra per cambiare la prospettiva dell’osservatore e riconoscere nell’opera una sorta di deità e la posizione eccentrica della scultura nella cella orientale del Capitolium, investita da un unico fascio di luce che allude a una luna piena».
Quale significato ha per lei il concetto di classicità?
«Il classico è presente eterno. Tutti i capolavori degni di questo nome sono atemporali».
A proposito della sua ricerca, lei parla di «disarmonie prestabilite»… «Nell’arte, come nella vita, l’equilibrio assoluto non è raggiungibile. Le mie opere disattendono l’aspettativa della perfezione. Ma è nella precarietà che si innesca la sorpresa e, quindi, la riflessione sulla nostra capacità di adattamento nel mondo».
In un’epoca che premia sempre più la specializzazione, lei fonda il suo lavoro su una pratica a tutto campo. Come si definirebbe? «Viaggiatore delle arti».
Le opere architettoniche più perfette della storia?
«Le prime che mi vengono in mente? Il Campidoglio a Roma, la basilica di San Lorenzo a Firenze con la Sagrestia Vecchia di Brunelleschi e la Sagrestia Nuova di Michelangelo. E tutto Bramante». Nomi contemporanei?
«Le Corbusier, Mies van der Rohe, Alvar Aalto».
La mostra è l’omaggio alla sua carriera. Rimpianti?
«Il museo che avrebbe dovuto custodire la collezione di Salvador Allende a Santiago del Cile. Nel 1993 vinsi il concorso, ma per ragioni imperscrutabili il progetto è rimasto irrealizzato».