«Così curo Madrid»
Intervista alla presidente della regione Isabel Díaz Ayuso: «Non si muore di solo Covid, va salvata l’economia»
Gli italiani non sono gli unici a litigare sulle strategie anti-Covid, a fare lo scaricabarile tra governo e Regioni, tra destra e sinistra. Gli spagnoli ci battono: il loro scontro sulla politica sanitaria è il più rumoroso d’Europa. Madrid contro Madrid, la capitale a guida centrodestra contro l’esecutivo nazionale a trazione centrosinistra. La Presidenta Isabel Díaz Ayuso (stella nascente di un Partido Popular oscurato dalla corruzione) contro il premier Pedro Sánchez (demiurgo di un partito socialista risorto dalle ceneri della fu classe operaia). Lui l’ha «commissariata», lei gli ha dato del «dittatore». Lui ha imposto lo Stato di Allarme. Lei l’ha accusato di «ricatto». Lui ha parlato di «caos», lei di provvedimenti «inutili e dannosi». Via Zoom col Corriere, la Ayuso si spiega. Lei che non è negazionista né no mask, ma piuttosto una «custode dei valori della libertà e della proprietà privata».
Dopo la chiusura voluta dal governo, i dati del contagio stanno migliorando.
«Per fortuna sì, ma non è merito di Sánchez. Quando combatti il coronavirus devi mettere in conto 10-15 giorni per valutare l’effetto dei provvedimenti. Ciò che vediamo oggi è il frutto del nostro lavoro: invece di chiudere l’intera regione, la Comunidad di Madrid aveva limitato i lockdown ad aree più piccole, solo dove il virus circolava, lasciando le altre libere. Più difficile, certo, ma più efficace e meno costoso».
E funziona?
«Dal 27 settembre all’11 ottobre il tasso di diffusione si è almeno dimezzato nei quartieri che avevamo chiuso. Prima di condannare alla stagnazione economica 6 milioni di madrileni, il governo avrebbe dovuto considerare che abbiamo 103 ospedali e che numeri, altrove drammatici, qui sarebbero stati gestibili».
Non è meglio essere prudenti?
«Davanti alla salute sempre. Ma anche davanti alla pandemia economica. Non si muore di solo Covid 19».
L’accusano di aver chiuso i quartieri poveri aumentando le diseguaglianze.
«Falso. Abbiamo confinato anche aree con reddito altissimo. Il metodo è scientifico, non improvvisato». Esiste un metodo Madrid?
«Misuriamo il virus nelle acque reflue. Abbiamo capito che sopra una certa soglia, entro 48 ore esploderà un focolaio. Siamo stati in grado di chiudere preventivamente».
Le redini per domare il Covid sono nelle fognature?
«Anche. Sempre che si sia in grado di circoscrivere le aree. Invece cosa ha fatto il governo? Ha chiuso il perimetro esterno. Così magari ha difeso il resto della Spagna, ma ha permesso la mobilità tra quartieri più infetti e quelli sani. Un disastro».
Si vergogna ad ammettere che lei sta corteggiando il suo bacino elettorale e Sánchez il proprio?
«Chiaro che io risponda a chi mi vota, ma se un bar chiude, il barista è rovinato, che voti a destra o a sinistra. E questa pandemia andrà avanti per… quanto? Due anni? È compito della politica indicare come sopravvivere ai lockdown oltre che al virus».
Sánchez vuol rovinare il Paese?
«Dico solo che il settore pubblico non deve scagliarsi contro il privato. Le regole devono essere uguali per tutti. Se nessuno lavora, chi pagherà le tasse? Non si può sfruttare la paura della gente per imporre un pensiero unico».
Il 26 di ottobre finirà lo Stato di Allerta e potrà tornare al suo sistema.
«Non ne sono così sicura perché il governo sta studiando chiusure automatiche con la salita di certi indicatori. Noi però non ci fermiamo. La seconda ondata sta cominciando a declinare, ci prepariamo alla terza, alla quarta, ogni volta saranno più piccole, ma arriveranno. Cosa facciamo? Smettiamo di viaggiare? No: abbiamo 5 milioni di test rapidi e un nuovo ospedale all’aeroporto. Gliel’ho detto, vogliamo lavorare, vivere, non sopravvivere».
Acque reflue
Misuriamo il virus nelle acque reflue e siamo in grado di prevedere che esploderà un focolaio