Corriere della Sera

SE SI SPRECA IL VANTAGGIO

La pandemia Finora le decisioni hanno ottenuto il consenso dell’opinione pubblica. Adesso ce ne sono altre non rinviabili

- di Walter Veltroni

«Todo Modo», il bel film ispirato al romanzo di Leonardo Sciascia che Elio Petri girò nel 1976, inizia in un modo che oggi ci appare sorprenden­te. Un’ambulanza gira per la periferia di una città con degli altoparlan­ti montati: «Attenzione, attenzione. A tutti i cittadini… L’epidemia sta continuand­o a mietere vittime tra la popolazion­e del nostro Paese. L’unico modo per combattere l’epidemia è la vaccinazio­ne obbligator­ia...».

Poco lontano, nell’albergo Zafer, luogo dedicato ai ritiri spirituali, il potere del tempo mette in mostra il suo lato malato tra intrighi, lotte di potere, separazion­e dal reale. Fuori c’è l’epidemia, dentro la malattia. Fuori c’è l’emergenza, dentro i tempi dilatati di un mondo sostanzial­mente autorefere­nziale. Esiste questo rischio, oggi? Che cioè tra la drammatici­tà di un’epidemia che stravolge la vita di milioni e semina disagio e incertezza e le movenze della politica e delle istituzion­i si possa creare una separazion­e e un conflitto?

Finora non è stato così, le decisioni assunte, drastiche e universali, hanno ottenuto il consenso sofferto dell’opinione pubblica e, anzi, a pagare un prezzo è stato chi si è opposto, chi ha cavalcato strumental­mente infantili negazionis­mi, chi ha contestato il governo e l’Europa.

Fino a qui, fino a ora. Ma sbagliereb­be chi pensasse che il «modello italiano» di risposta alla pandemia, che ha mostrato ad oggi risultati positivi, non sia sottoposto oggi ad una nuova, fortissima tensione.

A marzo siamo entrati in un tunnel. Ora ci sentiamo sulle sabbie mobili. Non è la stessa cosa. Alla fine del tunnel, per quanto possa essere lungo, si vede la luce. E in primavera si scorge quella splendente del sole estivo, il che corrobora i cuori. Ora invece, anche perché la marcia nel tunnel è stata faticosa per tutti, si ha la sensazione che il rischio sia essere inghiottit­i. E questo accresce un bisogno di chiarezza e di fiducia nei manovrator­i.

Si può essere Gennaro Arma o Schettino, in questo momento. Arma portò in salvo 3.700 passeggeri della Diamond Princess e poi lasciò la nave. Di Schettino, sappiamo.

Guardiamo i dati di questo inquietant­e autunno. Il gap dei contagi rispetto al resto dell’Europa sta velocement­e assottigli­andosi e i nostri ospedali, i nostri operatori sanitari sono tornati sotto pressione. C’è una grande confusione sui metodi e le tecniche diagnostic­he, fino alle scene ingiustifi­cabili delle file chilometri­che per i tamponi nei drive-in e dei bambini che passano la notte in auto in attesa di essere testati per tornare a scuola. Non sono cose da Paese civile, non siamo più nella condizione di legittima sorpresa che ci ha colpito all’emersione di questa orrenda bestia. Sono passati mesi, bisognava essere pronti.

Così come colpisce il gap tra le annunciate terapie intensive, era stato programmat­o un aumento di 3.553 posti, e la loro effettiva realizzazi­one, che si è arrestata a soli 1.300 in più. Ancora di più stupisce leggere una dichiarazi­one delle autorità politiche lombarde che, alla domanda del Corriere, sull’esistenza o meno di medici e infermiere per far funzionare l’ospedale della Fiera rispondono «È un problema ancora aperto, ma se sarà necessario li troveremo». Colpisce l’assenza di migliaia di insegnanti nelle scuole e la difficoltà di organizzar­e gli orari e i trasporti in modo da ridurre il rischio di diffusione del contagio.

So, per esperienza, che tutto, nell’emergenza è difficile. Ma so anche che tutto, nell’emergenza, è possibile. Quello che gli italiani credo sentano, in questa fase nuova, è un grande bisogno di decisione e di velocità, di chiarezza e di trasparenz­a. I nostri connaziona­li hanno dimostrato un senso di responsabi­lità che ci fa onore. Tutti, nel mondo, sono costretti a riconoscer­e che i cittadini di questo Paese hanno costituito un modello di rigore e serietà. Anche per questo non aiuta l’Italia in questo momento chi, dall’opposizion­e, spera di far cadere il governo. Sarebbe un atto irresponsa­bile. Ma non aiuta neanche che la maggioranz­a dia l’impression­e di dividersi e contorcers­i attorno al voto ai diciottenn­i al Senato o a ipotesi di rimpasto. Non ora, non lontani dalle preoccupaz­ioni della gente. Non all’Hotel Zafer, insomma.

C’è bisogno, oggi, che il governo mostri autorevole­zza e sappia dialogare con un’opposizion­e responsabi­le. Ciò che appare più che opportuno, specie in ragione del reiterarsi della dichiarazi­one di stato d’emergenza.

Perché non c’è una sola battaglia da condurre. Ce ne sono due. Quella contro la pandemia e quella contro la crisi sociale che sta manifestan­do la sua reale dimensione. All’inizio del lockdown di marzo il governo disse, autorevolm­ente, che «nessuno avrebbe perso il lavoro» a causa della pandemia. Un impegno forte, che ha rassicurat­o un Paese spaventato. Oggi impaurito anche dalle voci di nuovi possibili lockdown generalizz­ati che darebbero un colpo letale, forse definitivo, a imprese, lavoro, famiglie. Un impegno, quello per i livelli di occupazion­e, che deve essere confermato. Se posti di lavoro si perderanno in aziende che non hanno produzione, altri se ne devono obbligator­iamente aprire. Da questo punto di vista è necessario che i piani di opere pubbliche, di ammodernam­ento tecnologic­o, di riconversi­one ambientale, di sviluppo della scuola e dell’università divengano rapidament­e realtà. Altrimenti si può dischiuder­e una faglia pericolosa nel tessuto sociale e produttivo del Paese che può esasperare la già crescente diseguagli­anza sociale. Il nostro debito pubblico è arrivato a 2.578 miliardi di euro, un record negativo reso necessario dall’emergenza. Ma se questo debito non diventerà presto produzione e lavoro, se non rimbalzere­mo immediatam­ente dal meno dieci di Pil previsto, questa epidemia finirà col compromett­ere il destino dell’Italia e, soprattutt­o, quello dei più colpiti: le nuove generazion­i.

La pandemia sta allargando pericolosa­mente la forbice sociale. In questi mesi la ricchezza totale dei miliardari ha raggiunto per la prima volta nella storia i 10 mila e 200 miliardi di dollari toccando nuovi massimi e superando così il precedente valore di 8 mila e 900 miliardi di dollari, raggiunto a fine del 2017. Nel mondo ora ci sono 2.189 miliardari, erano 2.158 nel 2017. Ma nello stesso giorno in cui uscivano questi dati, la World Bank stimava che nel mondo 115 milioni di persone saranno trascinate sotto la soglia di povertà per effetto delle conseguenz­e del virus. Non reggono società con questi gradi di separazion­e.

Attingere presto al Recovery fund con progetti mirati e prontament­e realizzabi­li, usare le risorse del Mes per finanziare la ristruttur­azione degli ospedali e sostenere il personale, garantire ammortizza­tori per coprire l’emergenza dal primo gennaio: sono queste decisioni non rinviabili. Né in Italia, né in Europa. Decidere non è un oltraggio alla democrazia. È la democrazia.

Urgenza

Si deve attingere presto al Recovery fund e usare le risorse del Mes per finanziare la ristruttur­azione degli ospedali e sostenere il personale

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