SE SI SPRECA IL VANTAGGIO
La pandemia Finora le decisioni hanno ottenuto il consenso dell’opinione pubblica. Adesso ce ne sono altre non rinviabili
«Todo Modo», il bel film ispirato al romanzo di Leonardo Sciascia che Elio Petri girò nel 1976, inizia in un modo che oggi ci appare sorprendente. Un’ambulanza gira per la periferia di una città con degli altoparlanti montati: «Attenzione, attenzione. A tutti i cittadini… L’epidemia sta continuando a mietere vittime tra la popolazione del nostro Paese. L’unico modo per combattere l’epidemia è la vaccinazione obbligatoria...».
Poco lontano, nell’albergo Zafer, luogo dedicato ai ritiri spirituali, il potere del tempo mette in mostra il suo lato malato tra intrighi, lotte di potere, separazione dal reale. Fuori c’è l’epidemia, dentro la malattia. Fuori c’è l’emergenza, dentro i tempi dilatati di un mondo sostanzialmente autoreferenziale. Esiste questo rischio, oggi? Che cioè tra la drammaticità di un’epidemia che stravolge la vita di milioni e semina disagio e incertezza e le movenze della politica e delle istituzioni si possa creare una separazione e un conflitto?
Finora non è stato così, le decisioni assunte, drastiche e universali, hanno ottenuto il consenso sofferto dell’opinione pubblica e, anzi, a pagare un prezzo è stato chi si è opposto, chi ha cavalcato strumentalmente infantili negazionismi, chi ha contestato il governo e l’Europa.
Fino a qui, fino a ora. Ma sbaglierebbe chi pensasse che il «modello italiano» di risposta alla pandemia, che ha mostrato ad oggi risultati positivi, non sia sottoposto oggi ad una nuova, fortissima tensione.
A marzo siamo entrati in un tunnel. Ora ci sentiamo sulle sabbie mobili. Non è la stessa cosa. Alla fine del tunnel, per quanto possa essere lungo, si vede la luce. E in primavera si scorge quella splendente del sole estivo, il che corrobora i cuori. Ora invece, anche perché la marcia nel tunnel è stata faticosa per tutti, si ha la sensazione che il rischio sia essere inghiottiti. E questo accresce un bisogno di chiarezza e di fiducia nei manovratori.
Si può essere Gennaro Arma o Schettino, in questo momento. Arma portò in salvo 3.700 passeggeri della Diamond Princess e poi lasciò la nave. Di Schettino, sappiamo.
Guardiamo i dati di questo inquietante autunno. Il gap dei contagi rispetto al resto dell’Europa sta velocemente assottigliandosi e i nostri ospedali, i nostri operatori sanitari sono tornati sotto pressione. C’è una grande confusione sui metodi e le tecniche diagnostiche, fino alle scene ingiustificabili delle file chilometriche per i tamponi nei drive-in e dei bambini che passano la notte in auto in attesa di essere testati per tornare a scuola. Non sono cose da Paese civile, non siamo più nella condizione di legittima sorpresa che ci ha colpito all’emersione di questa orrenda bestia. Sono passati mesi, bisognava essere pronti.
Così come colpisce il gap tra le annunciate terapie intensive, era stato programmato un aumento di 3.553 posti, e la loro effettiva realizzazione, che si è arrestata a soli 1.300 in più. Ancora di più stupisce leggere una dichiarazione delle autorità politiche lombarde che, alla domanda del Corriere, sull’esistenza o meno di medici e infermiere per far funzionare l’ospedale della Fiera rispondono «È un problema ancora aperto, ma se sarà necessario li troveremo». Colpisce l’assenza di migliaia di insegnanti nelle scuole e la difficoltà di organizzare gli orari e i trasporti in modo da ridurre il rischio di diffusione del contagio.
So, per esperienza, che tutto, nell’emergenza è difficile. Ma so anche che tutto, nell’emergenza, è possibile. Quello che gli italiani credo sentano, in questa fase nuova, è un grande bisogno di decisione e di velocità, di chiarezza e di trasparenza. I nostri connazionali hanno dimostrato un senso di responsabilità che ci fa onore. Tutti, nel mondo, sono costretti a riconoscere che i cittadini di questo Paese hanno costituito un modello di rigore e serietà. Anche per questo non aiuta l’Italia in questo momento chi, dall’opposizione, spera di far cadere il governo. Sarebbe un atto irresponsabile. Ma non aiuta neanche che la maggioranza dia l’impressione di dividersi e contorcersi attorno al voto ai diciottenni al Senato o a ipotesi di rimpasto. Non ora, non lontani dalle preoccupazioni della gente. Non all’Hotel Zafer, insomma.
C’è bisogno, oggi, che il governo mostri autorevolezza e sappia dialogare con un’opposizione responsabile. Ciò che appare più che opportuno, specie in ragione del reiterarsi della dichiarazione di stato d’emergenza.
Perché non c’è una sola battaglia da condurre. Ce ne sono due. Quella contro la pandemia e quella contro la crisi sociale che sta manifestando la sua reale dimensione. All’inizio del lockdown di marzo il governo disse, autorevolmente, che «nessuno avrebbe perso il lavoro» a causa della pandemia. Un impegno forte, che ha rassicurato un Paese spaventato. Oggi impaurito anche dalle voci di nuovi possibili lockdown generalizzati che darebbero un colpo letale, forse definitivo, a imprese, lavoro, famiglie. Un impegno, quello per i livelli di occupazione, che deve essere confermato. Se posti di lavoro si perderanno in aziende che non hanno produzione, altri se ne devono obbligatoriamente aprire. Da questo punto di vista è necessario che i piani di opere pubbliche, di ammodernamento tecnologico, di riconversione ambientale, di sviluppo della scuola e dell’università divengano rapidamente realtà. Altrimenti si può dischiudere una faglia pericolosa nel tessuto sociale e produttivo del Paese che può esasperare la già crescente diseguaglianza sociale. Il nostro debito pubblico è arrivato a 2.578 miliardi di euro, un record negativo reso necessario dall’emergenza. Ma se questo debito non diventerà presto produzione e lavoro, se non rimbalzeremo immediatamente dal meno dieci di Pil previsto, questa epidemia finirà col compromettere il destino dell’Italia e, soprattutto, quello dei più colpiti: le nuove generazioni.
La pandemia sta allargando pericolosamente la forbice sociale. In questi mesi la ricchezza totale dei miliardari ha raggiunto per la prima volta nella storia i 10 mila e 200 miliardi di dollari toccando nuovi massimi e superando così il precedente valore di 8 mila e 900 miliardi di dollari, raggiunto a fine del 2017. Nel mondo ora ci sono 2.189 miliardari, erano 2.158 nel 2017. Ma nello stesso giorno in cui uscivano questi dati, la World Bank stimava che nel mondo 115 milioni di persone saranno trascinate sotto la soglia di povertà per effetto delle conseguenze del virus. Non reggono società con questi gradi di separazione.
Attingere presto al Recovery fund con progetti mirati e prontamente realizzabili, usare le risorse del Mes per finanziare la ristrutturazione degli ospedali e sostenere il personale, garantire ammortizzatori per coprire l’emergenza dal primo gennaio: sono queste decisioni non rinviabili. Né in Italia, né in Europa. Decidere non è un oltraggio alla democrazia. È la democrazia.
Urgenza
Si deve attingere presto al Recovery fund e usare le risorse del Mes per finanziare la ristrutturazione degli ospedali e sostenere il personale