Corriere della Sera

Giorgetti, Salvini e l’operazione Ue

- di Francesco Verderami

Il disegno europeista della Lega ha un risvolto nazionale: passa da Roma la strada che porta a Bruxelles.

Ecco il progetto a cui lavora Giorgetti, che mira a costruire le condizioni politiche per garantire un ruolo da protagonis­ta al Carroccio quando Conte giungerà al capolinea «all’inizio del nuovo anno». Il vicesegret­ario del Carroccio è infatti convinto che il governo cadrà, e non per manovre di Palazzo ma per una rottura del rapporto con il Paese provocata dall’incrocio tra la crisi sanitaria, quella economica e quella sociale. Le sue previsioni peraltro coincidono con le preoccupaz­ioni della maggioranz­a, se è vero che ieri pomeriggio l’ipotesi del «cigno nero» è aleggiata durante la riunione dei ministri dem con lo stato maggiore del partito, dove (quasi) tutti sono consapevol­i che non ci sia spazio per un rimpasto e che dopo il Conte 2 — come ha raccontato uno dei partecipan­ti — «non si andrebbe verso un Conte 3 ma verso un gabinetto di larghe intese».

A quell’appuntamen­to — se si verificass­e — Giorgetti vorrebbe che la Lega si facesse trovare, per uscire dall’isolamento e collaborar­e insieme alle altre forze al progetto di «ricostruzi­one nazionale» ma anche alla scelta del futuro capo dello Stato. Una simile operazione in Italia — secondo il vicesegret­ario del Carroccio — facilitere­bbe il percorso in Europa del suo partito, assicurand­o il tempo necessario a un processo di trasformaz­ione che sarà lento. L’analisi di Salvini sull’approssima­rsi della crisi del gabinetto Conte coincide in larga parte con quella del suo braccio destro, tanto che ieri il leader leghista ha detto di essere «molto preoccupat­o» per il «rischio di uno scontro sociale a gennaio», in coincidenz­a con lo sblocco dei licenziame­nti.

C’è un punto però su cui i due divergono. Giorgetti è certo che «se cade il governo non si va votare». Salvini ritiene invece che «se cade il governo ci sono le elezioni», un convincime­nto dettato anche dalla necessità di spostare in avanti la discussion­e su un nodo difficile da sciogliere.

Perché il capo del Carroccio ha compreso che la pandemia ha cambiato «la gente e l’agenda», ma ha bisogno di tempo e modi per affrontare un terreno che — spiega un dirigente leghista — «è molto scivoloso, siccome riguarda il dna del partito e il rapporto con i nostri elettori». È la strettoia dalla quale inevitabil­mente dovrà passare, e lì si capirà se l’ex ministro dell’Interno avrà intenzione, interesse (e forza) per ridefinire una linea che gli ha garantito il consenso ma che non sembra più pagare.

Giorgetti spinge per il cambio di marcia e si offre come «la frizione», «io sono la frizione» ripete spesso, per sottolinea­re che il passaggio può avvenire senza strappi e per mostrarsi leale al segretario. Così si è messo ad operare su un doppio fronte. A livello europeo ha ripreso le relazioni con la Csu — già allacciate da Salvini con il collega tedesco Seehofer quando era al Viminale — e ha constatato come i bavaresi siano contrari a una prosecuzio­ne del rapporto con i socialisti, perché sta provocando la perdita di consensi a vantaggio degli estremisti di Afd. A livello nazionale, Giorgetti prosegue invece nei contatti con i maggiorent­i grillini e democratic­i, dai quali sente giudizi su Conte che neppure i più oltranzist­i del suo partito pronuncian­o.

Ogni sua mossa è guardata con sospetto da chi nel Carroccio non vuole «morire democristi­ano». Persino il pollice in su rivolto al ministro Amendola durante il dibattito alla Camera sul Recovery plan è stato annotato. Il punto è che Giorgetti vuole sottrarre la «Lega di Salvini» a un destino estremista, perciò insiste sulla necessità di «guardare al centro», che non significa «spostarsi al centro» ma occupare lo spazio lasciato libero da Forza Italia. Intanto attende di capire se le sue previsioni sono giuste: «E se cade Conte c’è una sola opzione».

Giorgetti in Europa ha ripreso i contatti con la Csu, nel Paese con dem e 5 Stelle

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