VERSO LA SVOLTA GOVERNISTA DI UN MOVIMENTO IN CRISI DI IDEE
L’impressione è che gli Stati generali di inizio novembre sanciranno la svolta di governo del Movimento Cinque Stelle. E, almeno nelle intenzioni, dovrebbero tenere dentro l’ala ministeriale e quella «purista» antisistema. La decisione è stata di fatto già presa dal vertice grillino, e implica un appoggio incondizionato al premier Giuseppe Conte e la costruzione di un patto con il Pd. E potrebbe avere conseguenze sulle alleanze in vista delle elezioni comunali di primavera nelle grandi città.
Anche a livello europeo si potrebbero avere contraccolpi. Il M5S oggi non ha sponde continentali: i possibili interlocutori sono tutti all’opposizione. In questa legislatura dovrà dunque affidarsi alla mediazione di Conte e del Pd. L’operazione mette nel conto la possibilità di qualche scarto e perfino della perdita di pezzi di Movimento. L’intervista al Corriere di Davide Casaleggio, titolare della piattaforma Rousseau, è stata accolta con una punta di fastidio. Disturba soprattutto il suo «no» alla fine del tabù del terzo mandato
Rinviare tutto
Ma su terzo mandato e Mes rimane la tentazione di rinviare il più possibile per evitare di spaccarsi
parlamentare.
Il tentativo dei Cinque Stelle è di velare la questione, rimandandola alle elezioni politiche, per prendere tempo e scongiurare lacerazioni nella nomenklatura e con i militanti. Lo stesso vale a proposito del prestito europeo del Mes. L’idea è di rinviarlo ancora, per non dividersi; e di ammetterne l’utilizzo solo come «ultima spiaggia»: senza vedere che così l’Italia apparirebbe nelle condizioni disperate che il M5S dice di volere evitare. Non a caso, ieri il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha ribadito l’appello a usarlo subito.
«È tempo di investire. Siamo in guerra e serve ogni mezzo» contro il Covid 19, ha detto. «Ascoltiamo i sindaci italiani. Bisogna usare le risorse del Mes per rafforzare la sanità territoriale». Si vedrà presto se l’appello farà breccia nell’ideologia grillina. Mentre calano drammaticamente i consensi, la parola d’ordine «governista» è non disturbare Palazzo Chigi; cambiare percorso il meno possibile per evitare fratture interne; e bollare come «indisciplinato» chi coltiva nostalgie movimentiste e antisistema.
Rimane da capire se la regia degli Stati generali sarà in grado di raggiungere l’obiettivo in modo indolore. Il passaggio dalla «piazza» al Palazzo avverrà in una cornice congressuale virtuale, con palco della nomenklatura e assemblea «costruiti» attraverso una scenografia digitale. Ma le discussioni nelle assemblee locali ci saranno. La procedura non ammette mozioni ma solo documenti, per evitare che il dissenso si organizzi: operazione ambigua, ritenuta necessaria per contrastare spinte centrifughe crescenti e malessere contro i vertici del Movimento. Ma non è detto che basterà.