Corriere della Sera

E la Disney ora mette il bollino «razzista» sui grandi classici: da Dumbo a Peter Pan

Le «correzioni» di Hollywood, quasi un secolo dopo

- Irene Soave

La cura «Via col Vento» tocca anche al catalogo dei classici Disney. A giugno le vicende di Rossella O’Hara nel film di Victor Fleming datato 1939 sono tornate negli streaming del canale via cavo Hbo, negli Usa, ma corredate di un disclaimer: il film, spiega il lungo avviso, «nega gli orrori dello schiavismo».

Un’introduzio­ne simile compare ora in apertura di alcuni dei classici distribuit­i su Disney+: tra questi Peter Pan, Dumbo, Lilli e il Vagabondo, che contengono scene decisament­e razziste per gli standard odierni. Recita: «Questa trasmissio­ne include rappresent­azioni negative e/o trattament­i negativi di persone o culture. Stereotipi sbagliati quando sono stati messi in scena così come lo sono ora. Piuttosto che rimuovere il contenuto, vogliamo riconoscer­ne l’impatto dannoso, impararne una lezione e avviare una conversazi­one, per creare insieme un futuro più inclusivo».

Girate con disinvoltu­ra in anni in cui la sensibilit­à collettiva sul tema era meno sfaccettat­a, alcune scene dei film Disney sono ora sempre più difficili da mostrare ai bambini senza spiegazion­i. Specie nella versione originale. È il caso, per esempio, di Dumbo (1941): all’occhio e all’orecchio di uno spettatore americano i corvi che volano con lui, neri e dall’accento grottesco, suonano come caricature di neri da piantagion­e. Cantano «lavoriamo come schiavi»; uno si chiama Jim Crow, come le famigerate leggi Jim Crow sulla segregazio­ne razziale (e «crow» vuol dire corvo).

Allo stesso modo, i «pellerossa» che incontra Peter Pan nel classico del 1953 sono una caricatura dei nativi americani — e il termine originale, «redskins», suona oggi inaccettab­ile — che gli stessi bambini dell’Isola che non c’è chiamano «selvaggi», organizzan­do battute di caccia all’indiano. Il libro della giungla (1962) è tratto dal classico di Kipling che già di per sé era colonialis­ta; l’orangotang­o Re Luigi, che danza intorno a Mowgli lo swing (stile Dixieland) «Voglio essere come te», è doppiato con una voce che ricorda quelle delle «blackface» dei vecchi film in bianco e nero, così come le sue movenze. Poi ci sono i cinesi. Anzi, i siamesi: in Lilli e il vagabondo (1955) e Gli Aristogatt­i (1970), compaiono perfidi gatti siamesi dagli occhi a mandorla, uguali fra loro come gli orientali nel cliché razzista degli occidental­i, perfidi i due di Lilli e il vagabondo e caricatura­le, inseparabi­le dalle sue bacchette con le quali persino suona, Shun Gon, il micio-pianista degli Aristogatt­i. E infine il canile di Lilli e il Vagabondo pullula di cani-cliché, che parlano americano con accenti stranieri da barzellett­a: Pedro il chihuahua messicano, Boris il levriero russo.

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