Confermato l’ergastolo per l’assassino di Pamela
«Italiani, questa non è giustizia: non l’ho uccisa, è stata l’eroina!». Innocent Oseghale lo grida nell’aula del tribunale di Ancona dove i giudici della Corte d’assise d’appello hanno appena confermato nei suoi confronti la condanna di primo grado all’ergastolo per la violenza sessuale, l’omicidio e lo scempio del cadavere di Pamela Mastropietro, la 18enne romana uccisa e fatta a pezzi nel gennaio 2018 nella mansarda del nigeriano in via Spalato, a Macerata. Davanti al 32enne, unico imputato al processo, c’è la madre di Pamela, Alessandra Verni, che alla lettura della sentenza da parte del presidente della Corte Giovanni Trerè non trattiene l’esultanza. Salta, applaude. «Siete dei grandi!», urla ai giudici, e poi a Oseghale: «Dimmi, dimmi...», quasi a cercare un confronto con lui. In mattinata il nigeriano aveva letto in inglese un messaggio di scuse nei confronti della famiglia della ragazza, e per ribadire che lui con l’omicidio non c’entra niente. «Voglio pagare solo per quello che ho fatto», aveva detto. «Le scuse se le può anche tenere — la replica della madre di Pamela, accompagnata dallo zio avvocato di parte civile Marco Valerio Verni —, ha avuto un’ultima possibilità di dire la verità e non l’ha usata». I familiari della 18enne, che si era allontanata da una comunità di recupero a Corridonia per recarsi a Macerata, dove incontrò Oseghale con il quale acquistò una dose di eroina ai Giardini Diaz prima di andare a casa sua, ritengono infatti che il nigeriano non abbia agito da solo. Convinzione anche del procuratore generale di Ancona Sergio Sottani che con i carabinieri del Ros svolgerà altri accertamenti in questo senso, mentre gli avvocati di Oseghale, Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, ai quali era stata respinta la richiesta di una superperizia, annunciano ricorso in Cassazione. «Si sono verificate delle violazioni che la Corte dovrà accertare», spiegano.