SALÒ , IL DUCE DISSE SÌ A HITLER PER PAURA, NON PER PATRIOTTISMO
Caro Aldo, ho sentito dire che Hitler liberò Mussolini e gli impose di riprendere il potere continuando la guerra altrimenti avrebbe raso al suolo l’Italia. È vero?
Le rispondo non con le mie parole, ma con quelle di Indro Montanelli, tratte da «Io e il Duce», antologia di scritti montanelliani su Mussolini magistralmente curata da Mimmo Franzinelli.
Il Duce fu liberato per mano tedesca dalla sua prigionia sul Gran Sasso il 12 settembre 1943, e poi portato prima a Pratica di Mare, poi a Monaco dove ritrovò la moglie Rachele (e anche la figlia Edda e il genero Ciano, che si era fidato dei nazisti andando così incontro alla fucilazione), quindi nella Prussia orientale dove incontrò Hitler. Nel suo diario, Goebbels annota che il Führer uscì deluso dal colloquio, sebbene non ci fosse stato tra i due dittatori alcun alterco. «Non ce n’erano stati, nemmeno nei momenti di più grave crisi, per il semplice motivo che Mussolini aveva sempre subìto Hitler —annota Montanelli —. Lo subì anche stavolta lasciandosi imporre la decisione più grave per sé e per l’Italia, il ritorno al potere, sebbene ne avesse scontato con esattezza le tragiche conseguenze».
Il Duce, secondo Montanelli, era consapevole della tragedia che incombeva su di lui e sull’Italia occupata. «Senza dubbio egli addusse come alibi di fronte a se stesso il patriottico dovere d’interporre la propria persona tra la Germania
e l’Italia, che senza di lui sarebbe stata trattata come terra di conquista. E più tardi, per giustificarsi, lo disse e lo fece scrivere. Ma era una scusa, e lo sapeva. In realtà ciò che lo indusse ad apporre il lugubre poscritto di Salò alla sua carriera ormai conclusa fu solo la paura: la paura non delle sanzioni di Hitler, che in nessun caso gliene avrebbe applicate, ma del suo giudizio e del suo disprezzo».
Proprio il complesso nei confronti del Führer fu, secondo Montanelli, «all’origine dei suoi più catastrofici errori. Tutta la politica mussoliniana degli ultimi anni era stata una vana e pazza corsa all’inseguimento di Hitler: le leggi razziali, l’intervento in guerra, l’aggressione alla Grecia non furono che altrettanti tentativi di raggiungere il rivale, di strappargli l’iniziativa e di guadagnarsene il rispetto».