LA SCUOLA DELLA LUCE
LA FORTUNA DEI MACCHIAIOLI E QUELL’ESERCITO DI SOSTENITORI
Il successo popolare e commerciale che continua ad accompagnare gli Impressionisti anche nel nostro tempo quasi ci fa dimenticare il velo di sprezzante ironia che accompagnò la nascita di questa parola, coniata da un critico altezzoso che parlava di «impressioni» più che di «dipinti». È avvenuto lo stesso con i Macchiaioli? Anche questa definizione nacque, nel 1862, da un critico de La Gazzetta del Popolo, intenzionato a sminuire il prestigio della scuola toscana di pittura (e idee) che si era formata a metà dell’Ottocento. «Macchie», non «quadri».
Il punto è questo: solo gli studi più recenti hanno messo in rilievo la qualità internazionale delle opere di Lega, Fattori e di tutti gli altri Macchiaioli. Per molto tempo questi artisti sono stati relegati al ruolo asfittico di «scuola italiana», se non provinciale. Tutt’al più, come ebbe a dire uno dei maestri della storia dell’arte, André Chastel, di «cugini maggiori degli Impressionisti».
E la mostra di Palazzo Zabarella, con il lavoro scientifico di Mazzocca e Matteucci, tocca un tasto importantissimo nel ripercorrere la fortuna dei Macchiaioli, cioè il collezionismo. Cruciale qui risulta il ruolo di eroici sostenitori del movimento, a cominciare da critici d’arte e scrittori come Diego Martelli, per continuare con i colleghi come lo scultore Rinaldo Carnielo e le famiglie di mecenati quali i Cecchini o i Batelli.
Ma allora ci si chiede: perché uno come Telemaco Signorini, che sin dai primi del Novecento poteva contare su lunghi articoli pieni di elogi del massimo critico dell’epoca, Ugo Ojetti (memorabile un suo ritratto su la Lettura del Corriere della Sera del 1909), ancora oggi fa fatica a tenere il confronto in termini di popolarità internazionale con Monet?
Forse conviene fare un passo indietro e appuntarsi la data precisa in cui venne coniato il termine «Macchiaioli»: era il 1862. Cioè l’anno in cui in Francia Édouard Manet dava i primi colpi di pennello al rivoluzionario Le déjeuner sur l’herbe e in Italia si pensava ad altro, cioè a unificare il Paese.
In quell’anno Garibaldi venne fermato dall’esercito regio sull’Aspromonte e le tensioni sociali e politiche erano molto forti. Come ricordano i curatori, il movimento si caratterizzò proprio per questa introiezione degli ardori, delle aspirazioni, degli ideali che permeavano l’idea di «un altro Paese», forse di un altro mondo.
Ma attenzione: la loro qualità «politica» aveva una natura sottile, applicata alla vita quotidiana, più che ai roboanti affreschi storici. L’eroismo della loro poetica sta nella fatica dei lavoratori o nell’energia dei corpi giovani, quando non diventa aspirazione a una vita borghese.
Lo stesso sottotitolo della mostra padovana, con un’allusione al presente, recita «Capolavori dell’Italia che risorge». Insomma, furono i poeti di un’Italia che ambiva ad essere unita, mentre la Francia era diversa. Dunque il pubblico francese degli Impressionisti era più «coltivato» e più pronto a sostenere un’arte nuova, come scrisse sul Corriere Arrigo Benedetti nel 1968. Monet e gli altri si trovarono davanti una cultura meno rigida e un sistema mercantile diverso, più rodato, non come quello che — annotano Mazzocca e Matteucci — portò a una dispersione delle opere dei Macchiaioli in varie collezioni.
Fattori e gli altri però ebbero dalla loro parte questi fiancheggiatori infaticabili, sostenitori che arrivarono a indebitarsi pur di avere in casa una delle loro opere. Per esempio Mario Borgiotti, ragazzo di bottega che lavorava presso un barbiere livornese: pagava rate settimanali per le tele del Bartolena (costavano dieci lire) con le mance. Dunque i Macchiaioli ebbero un fortissimo sostegno al di fuori della critica ufficiale, un tifo composito, che annoverava esperti e appassionati, colleghi e signore dell’alta borghesia. Forse fu proprio questa consistenza magmatica a determinare un plauso mai realmente messo a fuoco nei circuiti commerciali e mediatici. Ci furono molti appassionati ma non un mercante sul modello di Paul Durand-Ruel.
Questo non è necessariamente un male: quella strada fatta di luce e macchie resta ancora oggi una sorgente inesauribile di sorprese.